Se Urbino è morta, noi no
Il Collettivo per l’autogestione, la città ducale e tutto il resto
Di Pimpi detto “il Sindaco”
Urbino non sta troppo bene. L’Università, sempre più azienda, riesce a far tutt’uno dei concetti di cultura, merce e spettacolo e dopo le lauree honoris causa ad Arrigo Sacchi, Oscar Farinetti e Valentino Rossi conferisce, a dicembre 2015, il Sigillo di ateneo niente meno che ad Albano Carrisi. Felicità! In Comune è insediata una destra neanche troppo camuffata dal grottesco avanzo di cabaret del sedicente “assessore alla rivoluzione”, Vittorio Sgarbi. Le iscrizioni all’Università sono in calo e la Lega in crescita, non è un bel periodo. Da sempre Urbino si specchia nei suoi studenti, ma spesso si gira dall’altra parte; da troppo tempo li sfrutta per i piccoli guadagni di bottega o per nutrire le miserie del potere accademico. E a chi non si adatta al rassicurante modello di studente con portafogli aperto e testa china sui libri ci pensano le ordinanze comunali e una piazza militarizzata. In assenza di forti movimenti sociali a livello nazionale è molto difficile coltivare uno spirito libero e critico nell’ambiente studentesco locale. Eppure c’è chi ci riesce, incredibilmente e con grande generosità.
Erano i primi di ottobre del 2012 quando sbarbato e deluso dai risultati del test d’ammissione a fisioterapia, approdai a Urbino. Un borgo bellissimo, surreale, quasi un campus universitario. In tutta quella bellezza mi saltarono subito all’occhio delle locandine appese ovunque: riportavano la scritta “waiting for…” sotto la celebre foto dell’anarcosindacalista arrestato descritta dal motto “Sarà una risata che vi seppellirà”. Una storia curiosa che conobbi meglio quando una mattina rividi il manifesto sotto un gazebo di studenti del collettivo dell’aula C1 autogestita. Al tempo era un collettivo in fase di scioglimento dopo lo sgombero dell’aula C1 e la diaspora militante, tipica dei collettivi caratterizzati da una composizione studentesca. Si trattava di una campagna contro la repressione, in risposta alle numerose denunce arrivate ai militanti del movimento studentesco urbinate.
Conobbi meglio quei ragazzi e quelle ragazze nei giorni successivi durante le varie assemblee. In quei giorni a Urbino diversi studenti e studentesse si avvicinarono alla campagna contro la repressione e si creò di conseguenza un nuovo collettivo, sulla linea politica del vecchio: il Collettivo per l’autogestione. Il nome venne scelto dopo una riflessione politica sull’esigenza prioritaria che legava tutti gli studenti e le studentesse del nuovo collettivo: quella di uno spazio sociale autogestito che da dieci mesi Urbino non aveva più, dopo lo sgombero della C1. La prima azione pubblica di protesta a cui partecipai fu l’occupazione dell’aula C2 di Magistero. Andò malissimo. Dopo cinque ore c’erano venti sbirri in Università, reparto DIGOS, questore e tutto l’apparato repressivo in funzione su di noi: decidemmo di uscire. Eravamo appena nati, insicuri e senza certezze sulla continuità e la tenuta del neonato collettivo. La risposta politica successiva però fu ottima. Decidemmo così di aprire una vera e propria campagna sugli spazi a Urbino: liberammo l’anfiteatro dello studentato Tridente con due giorni di autogestione e iniziammo a comunicare con la città – intesa come cittadini “autoctoni” e studenti – evidenziando il problema dell’assenza di spazi, tanto che perfino in paese avevano iniziato a parlarne. Nel frattempo, dal “fronte opposto”, l’Università con la compiacenza dei rappresentanti studenteschi varava un regolamento per l’utilizzo dell’aula C3 ad uso delle attività studentesche. Assurdo! Di fatto esisteva già un regolamento per le iniziative studentesche nelle aule, pieno di punti restrittivi fatti per tenere ben lontani gli studenti dalla pratica dell’autogestione delle strutture universitarie. Proprio a causa dei regolamenti gli studenti di fatto non avevano spazi per iniziative autonome nell’Università.
Viste le circostanze, il 15 maggio del 2013, con un buon numero di persone di diverse facoltà abbiamo occupato l’aula C3 di Magistero: la Libera Biblioteca De Carlo, in riferimento alla posizione politica e sociale del famoso “architetto partigiano” sulla gestione e l’utilizzo degli spazi. Era il primo traguardo per noi ma soprattutto il punto di partenza, lo zero. Avevamo uno spazio da riempire di politica e socialità. Il Collettivo per l’autogestione è riuscito a mantenere aperto uno spazio di contatto importante con gli abitanti di Urbino rappresentato da “(R)esistenze Anomale, festival delle resistenze d’oggi”. (R)esistenze Anomale è l’emblema del contributo in termini di partecipazione sociale e politica che gli studenti e le studentesse di Urbino possono dare contro l’ignoranza, la superficialità provinciale e il neofascismo. Il festival cerca infatti di attualizzare, attraverso iniziative e attività ludico culturali, l’importanza della resistenza partigiana, indicando ogni anno le nuove resistenze e i nuovi fascismi in una società fatta di individualismo sfrenato, profitti e repressione sociale. Nel 2013 era arrivato al quarto anno di attività, in programma come di consueto durante la settimana del 25 aprile. Quell’anno si parlava della resistenza dei popoli in lotta: un’analisi ad ampio raggio fra Palestina, Paesi Baschi, Chiapas e Val Susa, sottolineando e valorizzando alcuni particolari aspetti della resistenza partigiana. Ciliegina sulla torta del festival, senza ombra di dubbio, furono le due serate di concerti in Piazza della Repubblica, la piazza principale di Urbino. Tanta gente, tanta partecipazione, tanto movimento.
Il collettivo era ormai nato e rodato e nell’anno accademico 2012/2013 è riuscito a stare sulla politica territoriale in modo incisivo, mantenendo l’aula occupata e producendo contributi analitici e militanti anche in rapporto alle principali iniziative politiche nazionali di movimento. Negli anni successivi l’impegno fu quello di rilanciare in modo forte la Libera Biblioteca De Carlo e le attività politico culturali sul territorio provinciale, in particolar modo cercando di creare una piattaforma comune con le realtà politiche anticapitaliste di Pesaro e Fano. Partimmo in pompa magna verso due date, lo “sciopero sociale” del 18 ottobre 2013 costruito dalla “Rete lavoratori, precari, disoccupati, studenti” a Pesaro e la sollevazione generale del 19 ottobre 2013. Il primo andò benissimo: aderirono i sindacati di base, ci fu un’amplia composizione studentesca e i contenuti furono molto validi, particolarmente sentiti dalle tante persone presenti al corteo. Il 19 ottobre andò diversamente: 70 mila persone, concentramento del corteo in una gremita piazza San Giovanni a Roma, enorme la composizione popolare dei lavoratori, degli studenti e degli occupanti di case. Era un dato numerico e sociale davvero ottimo: da anni non si vedeva una piazza così! Alla fine della giornata però mancava qualcuno. Mancavano Rafael e Jei-Jei, due compagni che conoscevo ormai bene. Il primo militante del CSA Oltrefrontiera di Pesaro ma con alle spalle dieci anni di attivismo studentesco a Urbino, il secondo un giovane compagno del nostro collettivo. In serata gli avvocati di movimento ci comunicarono l’arresto. Eravamo distrutti. La carica della polizia era durata poco e aveva coinvolto lo spezzone in cui eravamo collocati… il corteo si era disperso, ma non avevamo pensato al peggio. Eravamo stati assieme fino a dieci minuti prima. E invece li avevano pescati nei viali adiacenti il Ministero dell’Economia, a random e senza tante spiegazioni come sempre.
Visto l’accaduto decidemmo di aprire una campagna per la liberazione di tutti i compagni arrestati in quella giornata. Restammo stupiti dalla solidarietà ricevuta in quei giorni. L’assemblea e il corteo spontaneo in centro a Urbino nei giorni successivi contarono centinaia di persone solidali con la causa e con i loro amici. La gioia più grande arrivò quattro giorni dopo con la liberazione improvvisa di tutti gli arrestati. Fu bellissimo. Così come fu speciale un altro corteo due giorni dopo: tanta gente dietro un unico striscione “sporchi, brutti e cattivi, tana libera tutti”. Il nostro slogan ironico e amareggiato era la risposta alle infamità del Resto del Carlino che attraverso lettere anonime e titoloni in prima pagina con i cognomi dei nostri compagni, aveva fatto una vera e propria campagna diffamatoria degna del titolo “pennivendoli dell’anno”.
Da quel momento in poi siamo riusciti a riprendere con più serenità i nostri percorsi quotidiani: la rete provinciale, con la questione “diritto alla casa” in testa, la Libera Biblioteca De Carlo e le attività culturali annesse, l’antifascismo militante, le lotte ambientali e tanta socialità… come sempre. Abbiamo creato relazioni con altre realtà politiche e studentesche sul territorio nazionale e abbiamo organizzato una nuova edizione di (R)esistenze Anomale, questa volta completamente dedicata all’abbattimento delle istituzioni totali: dalle carceri agli OPG. L’unica tematica su cui non eravamo riusciti a suscitare interesse e aggregazione era quella relativa all’Università stessa. Forse a causa del riflusso a livello nazionale, forse per nostri limiti e forse per una diversa composizione sociale degli studenti frequentanti dopo i tagli ai fondi per le borse di studio del DdL Gelmini. Sinceramente non saprei, ma sarebbe stata solo una questione di tempo. Infatti a settembre 2014 un’assemblea pubblica diede il via al percorso di lotta riguardante gli idonei non beneficiari. Questi ultimi sono studenti che pur essendo idonei ai criteri di assegnazione delle borse di studio, non rientrano nell’assegnazione delle stesse a causa dei tagli alle risorse per il diritto allo studio. Gli studenti e le studentesse “senza pane” hanno cercato immediatamente di organizzarsi per ottenere quello che spettava loro.
È nata così l’Assemblea per il diritto allo studio di Urbino, che attraverso cortei “rumorosi”, presidi, invasioni degli uffici della sede dell’ERSU (Ente per il diritto allo studio della Regione Marche) e solleciti formali è riuscita a ottenere il pagamento delle borse a febbraio 2015! Fu una lotta vinta, che ci diede un’enorme soddisfazione, perché si trattava di noi e dei nostri più cari amici e compagni, del loro studio e della loro permanenza a Urbino. Una battaglia che è continuata anche nei primi mesi del nuovo anno accademico 2015/2016. Infatti una parte della quota conquistata durante le lotte non era stata ancora erogata e il problema degli idonei si era riproposto di nuovo. L’Assemblea per il diritto allo studio ha ripreso il passo grazie a chi l’ha sempre seguita e a chi puntualmente è stato colpito dalla questione materiale riguardante la vertenza in atto. Noi “vecchi” nel frattempo abbiamo sperimentato la classica diaspora militante e ci chiedevamo sfiduciati: “il collettivo come farà? il collettivo andrà avanti?”. Il collettivo alla fine c’è ancora, lotta per le borse di studio e sta andando avanti su tutti i fronti possibili. Questo è un dato eccezionale: a Urbino, piccola città e piccolo ateneo, ogni anno un gruppo di studenti e studentesse antifascisti e anticapitalisti si organizza, dà contributi alle lotte e mette in gioco la propria testa, i propri cuori e i propri corpi cercando di riequilibrare la bilancia della diseguaglianza e dello sfruttamento. È una situazione particolare, paesana ma allo stesso tempo meticcia, su cui nessuno scommetterebbe ma che ogni anno esiste e ritaglia il suo posto nello scenario purtroppo resistenziale che caratterizza le lotte in tutto il paese.
Urbino è morta, perché da quando ci viviamo è cambiata in peggio e noi non siamo riusciti a farci molto. La vita degli studenti è sempre più precaria e la socialità libera è soffocata: è vietato bere alcolici in piazza e per strada, non esistono spazi sociali liberi all’esterno dell’Università e l’anfiteatro del Tridente, uno dei pochi spazi dei collegi universitari che era ancora utilizzabile per eventi ludici ricreativi, è serrato con un portellone antincendio dalle 19 in poi. Urbino è morta e continuerà a morire se continuerà questo andazzo. Ma noi siamo vivi e continuiamo ad essere in contrasto con la direzione che Urbino sta prendendo. Siamo ancora qui a lottare per una città ricca di socialità e di dignità.