Intervista di Luigi a Nicoletta e Serena [da Malamente #12, ottobre 2018] [QUI IL PDF]
La natura non è un posto da visitare. È casa nostra.
Gary Snyder
Il rapporto di molti bambini con l’ambiente naturale è oggi sempre meno diretto, spesso si riduce al palcoscenico di una gita domenicale o alla visita programmata in fattoria didattica, anche perché la quotidianità della vita urbana o semi-urbana ne cattura l’attenzione, loro malgrado, in un mondo di cemento, plastica ed elettronica. Nelle scuole d’infanzia, a parte rare eccezioni in cui qualche nonno è chiamato a piantare pomodori in giardino, si diventa per lo più abili a colorare le fotocopie di un albero senza uscire dai bordi, poco importa se non si è più in grado di riconoscere le piante attorno casa o se non si è mai sentito il profumo di un bosco d’autunno. Anzi, non è infrequente che le nuove generazioni, sempre più abituate a vivere in spazi chiusi, artificiali e igienicamente ipercontrollati, provino sensazioni di disagio quando sono chiamate a uscire dalla propria bolla per entrare in contatto con la materia organica, si tratti di camminare a piedi nudi sulla terra o bere latte appena munto.
Ma ci sono anche bambini e bambine che trascorrono le proprie giornate principalmente all’aria aperta, che sia estate o inverno, tra osservazioni e scoperte, esplorando in libertà il mondo esterno e le potenzialità della propria autonomia. Spesso si sporcano, ogni tanto si sbucciano un ginocchio. Non sanno cosa siano i “lavoretti” uguali per tutti/e e la curiosità è il motore della loro crescita. Li potete incontrare a spasso tra le campagne e i boschi delle Cesane di Urbino: sono i bambini e le bambine di Maestra Natura, un progetto educativo che è da poco entrato nel suo secondo anno di attività, rivolto, per ora, alla fascia uno-sei anni.
Nella sede che domina la vallata da dove, quando l’aria è tersa, lo sguardo può correre fino al mare, i bambini non sono oggetto di un trasferimento di competenze da parte degli educatori, ma soggetti di esperienze vissute, con buona pace di quei genitori ansiosi che i figli non imparino mai abbastanza per “essere pronti” all’ingresso nella scuola primaria, che è in primo luogo imparare a restare buoni e seduti fino al suono della campanella. Inoltre, lo stile educativo di Maestra Natura (e delle molteplici esperienze di outdoor education che si stanno sviluppando anche altrove, anche nelle Marche) non tiene conto solo della sfera cognitiva, perché imparare a gestire fin da piccoli le proprie emozioni e i rapporti umani con gli altri è altrettanto importante che imparare l’inglese e le tabelline e, probabilmente, è una buona strada per iniziare a costruire un futuro di migliore convivenza.
Su Malamente abbiamo già dato spazio a esperienze educative fuori dagli schemi oggi maggioritari, questa volta abbiamo intervistato Nicoletta e Serena, fondatrici ed educatrici dell’associazione L’Albero Maestro, al cui interno si sviluppa anche il progetto Maestra Natura.
Vi chiedo intanto di presentarvi. Da che percorsi personali siete arrivate all’apertura dell’associazione L’Albero Maestro e del progetto Maestra Natura?
Serena. Io ho lavorato in diverse scuole dell’infanzia a Padova, vedendone molti limiti, che sono i limiti generali della scuola italiana. Innanzitutto il rapporto numerico di un maestro ogni venticinque bambini, che è molto difficoltoso da gestire se si vuole veramente poter accogliere e ascoltare i bisogni di ognuno. Poi si vive nello spazio ristretto di un’aula, cosa che limita molto il bisogno di movimento dei bambini. Ho letto a questo proposito in un libro il racconto di una scuola primaria dove alcune maestre hanno chiesto ai genitori di far portare negli zaini dei giochini elettronici, in modo che durante l’intervallo i bambini potessero giocare “tranquilli”, giustificando questa scelta perché così non sudano e non si fanno male. Questo mi ha fatto riflettere molto. È più o meno con gli stessi presupposti che nella scuola dell’infanzia si usano i lavoretti o le schede: sono un modo per tenere buoni i bambini e poterli “gestire”. Io credo che il nostro lavoro di insegnanti comporti una responsabilità educativa importante, per questo anche nella scuola tradizionale si dovrebbero osare strategie che a volte vanno un po’ contro la norma. Per esempio, ricordo quando facevamo il progetto dell’alimentazione: le mie colleghe facevano vedere la scheda da colorare della mela, oppure dell’uva, mentre io, anche se a livello di regolamento non si poteva, portavo il frutto da vedere, toccare e mangiare. Anche se la cosa migliore è quella che stiamo facendo adesso, cioè trovarlo sull’albero, vedere da dove arriva, seguirlo crescere.
Ecco, quindi la mia sensibilità e l’accorgermi di tante cose che non andavano mi hanno portato a interessarmi degli asili nel bosco. Ho partecipato a un corso di formazione di più giorni a Ostia, da Paolo Mai, e quello è stato il momento di svolta: ho visto con i miei occhi bambini e bambine che trascorrevano le giornate all’aria aperta, felici, ascoltati nei loro bisogni individuali, cosa che invece, pur mettendoci del mio, non stava funzionando dove lavoravo, perché le condizioni del sistema, della scuola, non lo consentivano. Quindi da Padova sono rientrata qui, che è il mio paese d’origine, con l’idea di avviare un progetto di educazione all’aria aperta e ho incontrato Nicoletta.
Nicoletta. Io ho una carriera di studi pregressa in campo artistico. All’epoca per sostenere le spese avevo iniziato a fare la babysitter, tenevo anche diversi bambini insieme e spesso e volentieri stavamo in campagna, dove ho una casa con fattoria. Ho così scoperto questo mio piacere a stare con i bambini e ho avuto la fortuna di riuscire ad aprire, dopo la seconda laurea, un centro per l’infanzia tutto mio, zero-tre anni, a Piobbico. Fortuna e incoscienza, sostenute da tanta passione. Ho mandato avanti questo centro per dodici anni, nel frattempo sono diventata mamma di due bimbi, con i quali ho avuto il privilegio di crescere insieme. Cammin facendo e autoformandomi, non avendo un percorso di studi specifico, ho capito che quello che avevo, seppur bellissimo, non bastava. Un po’ per me, perché avevo bisogno della natura, della campagna dove sono cresciuta, e un po’ perché vedevo che sia i miei figli, sia gli altri bambini con i quali potevo interagire, all’aria aperta stavano molto meglio. A Piobbico avevo un piccolo giardino che potevo utilizzare, ma purtroppo la normativa ci limitava molto: HCCP, sicurezza etc… Mi balenava nella testa l’idea di fare altro, però non mi buttavo, anche perché devo dire che stavo bene in quella realtà che avevo costruito.
Mia figlia nel frattempo frequentava una scuola dell’infanzia molto bella, qui a Urbino, una scuola che però era in un momento di stallo perché stava passando da comunale a statale, le vecchie maestre stavano andando tutte in pensione e quindi non si sapeva bene cosa sarebbe diventata; noi genitori ci siamo mossi per farla continuare a essere quello che era, cioè un bel posto, dove i bambini erano lasciati abbastanza liberi, con molto spazio aperto, impostato su principi montessoriani pur non avendo una certificazione in questo senso. In quel frangente ho conosciuto Serena, anche perché entrambe eravamo incuriosite e avevamo preso contatti con la scuola libertaria Serendipità di Osimo. Così abbiamo cominciato a pensare a qualcosa di realmente outdoor e nell’ottobre 2016 è nata l’associazione L’Albero Maestro. Abbiamo cominciato a organizzare delle uscite ogni quindici giorni, avvicinando i bambini e le famiglie agli spazi all’aperto, tra Urbino, Fermignano, Acqualagna e altri territori. Ci siamo rese conto che esisteva un bisogno reale, quello stesso bisogno che noi avevamo percepito e che ci stava spingendo su questa strada: nel giro di pochi mesi siamo arrivati a cento iscritti, con una media di venticinque bambini a passeggiata.
Serena. Questo successo iniziale, quando ancora l’Associazione doveva farsi conoscere, si spiega con la voglia di ritrovare l’opportunità e i modi di stare in natura, che oggi mancano a molti bambini. Con alcune famiglie e con la loro fiducia abbiamo quindi iniziato a pensare a qualcosa di più stabile, cercando un posto che potesse accoglierci quotidianamente; dopo una ricerca abbastanza lunga alla fine abbiamo trovato questo spazio alle Cesane: una sede, un giardino, un bosco di collina. Abbiamo organizzato delle settimane di campi estivi, che sono state la prima esperienza di lavoro continuativo, ne siamo rimaste soddisfatte e da lì abbiamo avviato Maestra Natura: un progetto permanente che ha l’obiettivo di poter accompagnare quotidianamente i bambini da uno a sei anni nell’esperienza in natura. Siamo partite a settembre 2017 con dodici bimbi, ora ne abbiamo ventisei, tra chi frequenta tutti i giorni e chi viene saltuariamente.
Già dal nome del progetto “Maestra Natura” si capisce che la prima e principale educatrice è la natura, il che mi fa pensare a una sorta di autoeducazione informale non scolastica; al fianco di questa spontaneità, qual è il ruolo vostro e degli altri educatori ed educatrici che collaborano al progetto?
Serena. Innanzitutto a noi piace l’idea che il bambino non viva la giornata chiuso in un’aula ma all’aria aperta, dove incontra tantissime possibilità di esplorare e scoprire. Purtroppo la nostra cultura sta dimenticando queste cose: le scuole non hanno spazi adatti, tanti genitori hanno paura di far uscire i bambini perché possono prendere freddo, sporcarsi, farsi male… La prima maestra quindi, prima di me, Nicoletta e delle altre educatrici è la “natura”, cioè l’ambiente naturale che ci accoglie, con la sua vita, i suoi cicli e le infinite opportunità di apprendimento, per esperienza diretta, che offre ai bambini. Tenendo conto anche degli aspetti imprevedibili e poco piacevoli della natura. I nostri bambini li hanno ad esempio vissuti in alcuni momenti di condizioni atmosferiche non ottimali, come bufera di neve, vento forte o nebbia con grande umidità, anche queste situazioni sono per loro stimoli allo spirito di adattamento, al far fronte alle difficoltà, al percepire i segnali del proprio corpo.
All’interno di questo, l’educatore deve saper accompagnare il bambino nelle sue scoperte, cioè accompagnare quell’autonomo spirito di ricerca che è fondamentale per l’apprendimento. L’adulto mette a disposizione la sua esperienza, ma non si pone come un maestro in cattedra che sa tutto e infonde il suo sapere ai bambini. Anzi, la caratteristica principale dell’educatore è di saper ascoltare e osservare, per far questo deve essere capace di distanziarsi un po’ dal bambino e così vedere come si relaziona con gli altri, che giochi preferisce fare, se quel giorno è sereno oppure no. Tra i nostri strumenti c’è un diario di bordo dove giornalmente raccontiamo quello che facciamo, ma c’è anche un diario di osservazione, con appunti vari che ci aiutano a capire che percorso sta portando avanti ogni singolo bambino.
La giusta distanza la manteniamo anche negli inevitabili momenti dei litigi, noi li consideriamo momenti formativi: se l’adulto interviene anche quando non è necessario i bambini non impareranno mai a relazionarsi tra loro. Ovviamente interveniamo in caso di pericolo. Daniele Novara, pedagogista, ha scritto un bel libro proprio su questo: Litigare per crescere, che fa vedere come il litigio abbia una valenza formativa per imparare a gestire il rapporto con gli altri.
Quali sono i vostri principali riferimenti pedagogici?
Serena. Principalmente seguiamo la cosiddetta “pedagogia del bosco” o “pedagogia della natura”. Poi abbiamo diversi pedagogisti a cui ci sentiamo più vicini: Montessori, Fröbel, Rousseau, Pestalozzi, Malaguzzi e altri; la cosa che li accomuna è che il bambino con i suoi bisogni, a partire dall’essere ascoltato e rispettato, viene messo al centro, parte tutto da lì, anche il nostro progetto.
I due concetti fondanti della nostra pedagogia, della pedagogia del bosco, sono libertà e autonomia. La libertà è innanzitutto dal punto di vista della scelta delle attività, del gioco. Nel gioco libero i bambini si relazionano con l’altro, decidono cosa fare, quali sono le regole e questo riduce le contese. Tra l’altro noi non abbiamo giochi strutturati, che sono spesso l’oggetto del contendere nelle scuole d’infanzia, qui non c’è quasi niente di preconfezionato, tanto meno di plastica, perché i bambini sono bravissimi a trovare i materiali del loro giochi direttamente in natura e questo serve molto a sviluppare la creatività, la fantasia.
In generale, questo posto è pervaso da un’atmosfera di libertà, ciò non vuol dire che non ci siano delle regole, che sono poche ma chiare e le condividiamo con i bambini quasi tutti i giorni. Le regole sono: rispetto per l’altro e per la natura, che vuol dire non fare male agli amici, ma anche limitare lo strappo dei fiori (è una cosa che viene spontanea, specie nelle prime esplorazioni, ma cerchiamo di spiegare ai bambini che è più bello lasciarli sul prato e poterli osservare); essere sempre a portata d’occhio, cioè noi educatori dobbiamo vedere loro, anche se lontani, e loro devono poter vedere noi; non toccare gli animali, in natura possiamo infatti incontrare ogni genere di animali, dagli insetti ai cinghiali alle vipere, la regola che ci siamo dati è un rispetto verso l’animale ma anche una sicurezza di base per il bambino.
Nicoletta. È vero che la tentazione per i bambini è forte e non sempre è facile per loro non toccare i piccoli animali. Ad esempio un giorno è accaduto che un bambino ha visto un bruco, era felicissimo, ma nella sua felicità, cercando di prenderlo con un bastone, lo ha infilzato e ucciso. Lui quasi non se n’era accorto, mentre un altro bambino gli ha detto che era morto, quasi incolpandolo. Allora sono subentrata io e ho fatto notare che non camminava più eccetera, così ho suggerito di fargli una tomba; l’abbiamo sotterrato, lì per lì il bimbo sembrava quasi non colpito, invece i giorni successivi abbiamo visto che quell’esperienza l’aveva toccato, ma senza sensi di colpa, aveva toccato una sua sensibilità. E poi c’è il nostro gatto, che ha deciso di non farsi più vedere quando ci sono in giro i bambini…!
L’altro cardine a cui avete accennato, oltre alla libertà, era l’autonomia…
Serena. Esattamente. Noi cerchiamo di dare la massima autonomia al bambino, secondo la famosa frase di Maria Montessori: “aiutami a fare da solo”. L’adulto non abbandona il bambino, lo sostiene emotivamente dialogando con lui, ma gli lascia autonomia in ogni situazione, dalla vestizione al pranzo, dal gioco libero ai conflitti, e questo non fa che accrescere la loro autostima e percezione del sé. Un ulteriore elemento importante è l’esperienza diretta. Crediamo infatti che l’esperienza diretta sia il modo migliore per apprendere, per crescere e per ricordarsi nel tempo le cose.
Nicoletta: Ad esempio, qui spesso ci si arrampica sugli alberi. Ci sono bambini appena arrivati che hanno paura, ma anche desiderio, di farlo. Di solito partono dicendo: “non ce la faccio”. Noi non li aiutiamo fisicamente, non li solleviamo per il sedere ma siamo presenti e se vediamo che è nelle loro possibilità li incoraggiamo. Abbiamo avuto delle gratificazioni enormi quando dopo due o tre giorni da quella fatidica frase “non ce la faccio” li vedi in alto; per loro, ma anche per noi, è una soddisfazione importante.
Questo, è vero, implica dei rischi. Ma fin da piccoli i bambini incontrano dei rischi e li fanno propri: non imparerebbero mai a camminare o andare in bici senza rischio di cadere. E tanti altri traguardi comportano dei rischi. Dal nostro punto di vista i rischi non vanno eliminati, vanno invece fatti conoscere al bambino in modo che li possa affrontare, così come li affronterà nella vita. Quando si arrampicano sull’albero, proviamo a pensare ai rischi che effettivamente può correre il bambino o la bambina che tenta di spostarsi da un ramo all’altro; potrebbe cadere, sbucciarsi un ginocchio, spaventarsi, ma dal punto di vista delle opportunità? Autostima, soddisfazione, conoscenza del proprio corpo, concentrazione, possibilità di raggiungere traguardi. Ci sono rischi e opportunità, secondo noi quest’ultime sono di gran lunga superiori. E poi i rischi sono sempre tutelati dalla nostra presenza, in questo il rapporto di un educatore ogni sette o otto bambini ci aiuta. Poi, come nel caso di un muretto abbastanza alto dove alcuni hanno iniziato a salire, ci siamo dati le regole che sì, lo si può fare, ma solo se c’è una maestra insieme a loro, non più di due alla volta e la scala che usano va poi sempre rimessa a posto.
Ci raccontate come si svolge una giornata tipo?
Nicoletta. Accogliamo i bambini dalle 7:45 e lasciamo una merenda a buffet (frutta, pane). L’abbigliamento è fondamentale, ci vogliono vestiti che tengano caldo in inverno e che non facciano rimanere il sudore sulla pelle in estate, tutti i bambini hanno inoltre delle tutine impermeabili. Il momento della vestizione occupa tanto tempo perché li lasciamo fare in autonomia e tutti, anche i più piccoli, stanno imparando a vestirsi da soli, compresi stivali e allaccio delle cerniere zip.
Quando sono tutti arrivati e vestiti facciamo il cerchio di saluto dove ripetiamo spesso e volentieri le regole e ci raccontiamo il vissuto della giornata precedente. Il cerchio è un momento rituale che infonde sicurezza e fiducia ed è anche il momento in cui i bambini portano le loro scoperte, se vogliono, e le condividono con gli altri. Lì incomincia la giornata con le varie attività, noi ci limitiamo a fare delle proposte ma non imponiamo mai cosa fare. Le attività sono molteplici, dalle costruzioni ingegneristiche, hanno fatto automobili, treni e aeroplani con ogni tipo di materiale, hanno costruito il rifugio, alle attività creative con l’argilla, la cucina di fango, la sperimentazione di colori e pitture, oppure leggiamo un libro insieme etc. Oltre a questo ci sono e attività di routine, come andare dalle galline o nell’orto. Spesso partiamo in passeggiata. Le esplorazioni che facciamo possono essere brevissime, se dopo pochi metri incontriamo qualcosa di particolarmente interessante che cattura la nostra attenzione, oppure possiamo percorrere anche diversi chilometri e andare all’avventura…! Qui abbiamo infatti una parte di bosco che ormai conosciamo abbastanza bene, il resto è tutto da esplorare.
Per il pranzo abbiamo scelto insieme alle famiglie di utilizzare un servizio di catering della Galleria AE di Urbino, che utilizza prodotti biologici e locali. Il menù è vegetariano, predisposto da una nutrizionista con cui collaboriamo. Per evitare piatti usa e getta utilizziamo delle gavette portapranzo, che le famiglie hanno l’impegno di portare a casa e lavare ogni giorno. Dopo pranzo c’è il momento del riposo. Poi si ricomincia con qualche attività e infine il congedo, alle 15:45.
In Italia, e in particolare nelle Marche, ci sono altre realtà come la vostra? Esiste una rete di progetti simili?
Serena. Intanto c’è da dire che la pedagogia del bosco nasce negli anni ’50 in Danimarca, poi si allarga al Nord Europa, in paesi dove tradizionalmente il contatto con la natura è visto come un fattore importante per la qualità della vita. In Italia è approdata negli ultimi anni, in particolare con l’apertura dell’asilo nel bosco di Ostia Antica, nel 2014, che ha dato impulso alla nascita di diversi altri progetti analoghi. Noi, insieme a un’altra trentina di realtà, abbiamo partecipato alla fondazione del Comitato nazionale per l’educazione in natura, nel gennaio 2017 a Novara, per cercare di darci una struttura uniforme e sottoscrivere un “libro verde” che raccolga i punti che ci accomunano. A fine settembre 2018 abbiamo ospitato nella nostra sede il raduno nazionale, sono stati tre giorni intensi di confronto e scambio di esperienze. Nel Comitato siamo per ora gli unici marchigiani, ci sono comunque anche altre esperienze di outdoor education in regione, ad esempio a Stacciola (comune di San Costanzo), Pesaro, Chiaravalle, San Ginesio nel maceratese, oltre ad altri progetti che si stanno sviluppando.
Maestra Natura non è propriamente una “scuola dell’infanzia” privata, ma una realtà associativa che richiede non solo la condivisione del progetto ma anche una partecipazione attiva da parte delle famiglie; quanto è importante questo aspetto?
Nicoletta. Il nostro obiettivo ambizioso è di creare una vera comunità educante, insieme alle famiglie, anche per questo siamo strutturati in forma di associazione. Tutte le scelte relative al progetto sono condivise e prese collettivamente dall’assemblea che si riunisce, di regola, almeno una volta al mese. Il rapporto con le famiglie è quindi molto stretto e si basa sul rispetto della libertà di ognuno e sulla necessaria solidarietà verso gli altri, fattori indispensabili per far andare avanti una realtà di comunità educante. L’impegno richiesto alle famiglie non è poco, ma per noi è fondamentale e lo mettiamo subito in chiaro fin dal primo colloquio.
Abbiamo inoltre abbracciato l’idea della “banca del tempo”, noi mettiamo a disposizione la nostra competenza educativa e chi ha tempo, modo e voglia di aiutare può svolgere alcune mansioni ricevendo in cambio uno sconto sulla quota annuale. Le mansioni ordinarie sono il taglio dell’erba, la pulizia della sede e del pollaio, poi ci sono le manutenzioni varie, ma chi vuole può portare anche competenze specifiche da proporre ai bambini (musicali, linguistiche, artigianali etc.). Da quest’anno abbiamo deciso che ogni prima domenica del mese è un momento di incontro tra tutte le famiglie di Maestra Natura, sia per fare lavori collettivi, perché tanto qualche cosa da fare c’è sempre, sia di convivialità e di confronto sull’andamento del progetto. È questo il senso della comunità educante.
Come immaginate il passaggio alla scuola primaria “tradizionale” per bambini vissuti in piena libertà fino al giorno prima?
Nicoletta. Penso che avranno moltissimi strumenti a loro vantaggio. Il fatto di avere vissuto serenamente senza imposizioni, di avere raggiunto una buona autostima di sé e il massimo di autonomia possibile, sono tutti fattori di ricchezza per una persona, che la aiuteranno in tutte le situazioni future, anche nell’affrontare il magone dei banchi di scuola. Inoltre, un grosso scoglio di molti bambini che devono andare alle elementari, che magari sono già avanti con le capacità di scrivere e altro, è l’aspetto emotivo, la fragilità emotiva. Ci sono bambini che non sono pronti di fronte a una frustrazione, di fronte ai voti e ai giudizi. E poi…. in realtà stiamo studiando di allargare il progetto Maestra Natura anche alla fascia di età della scuola primaria, continuando a favorire le inclinazioni personali di ogni bambino, all’aria aperta, senza voti, senza attività imposte.
Suggerimenti di lettura
Richard Louv, L’ultimo bambino nei boschi: come riavvicinare i nostri figli alla natura, Milano, Rizzoli, 2006.
Fuori: suggestioni nell’incontro tra educazione e natura, a cura di Monica Guerra, presentazione di Cheryl Charles, Milano, Angeli, 2015.
Michela Schenetti, Irene Salvaterra e Benedetta Rossini, La scuola nel bosco: pedagogia, didattica e natura, Trento, Erickson, 2015.
Emilio Manes, L’asilo nel bosco: un nuovo paradigma educativo, [Roma], Tlon, 2016.
Francesca Durastanti … [et al.], Agrinidi, agriasili e asili nel bosco: nuovi percorsi educativi nella natura, Firenze, Terra Nuova, 2016.