Di Tomás Ibañez
Traduzione di Isabella Tomassi e Valentina Mitidieri
Un po’ più di due secoli fa, nel 1811 e durante i cinque anni seguenti, l’Inghilterra è stata il teatro di una intensa rivolta sociale conosciuta sotto il nome della “rivolta dei luddisti” – con riferimento al suo protagonista eponimo, Ned Ludd – che distrusse una buona parte delle nuove macchine tessili la cui installazione sopprimeva numerosi posti di lavoro e condannava una parte della popolazione alla miseria. Ci sono voluti migliaia di soldati per schiacciare l’insurrezione che, ben lontana dal ridursi a delle motivazioni tecnofobe, si situava nell’ambito del lavoro e aveva la pretesa di opporsi alle conseguenze più nefaste del “progresso” dello sfruttamento capitalista.
Oggi è essenziale “reinventare” questo tipo di rivolta, facendola passare dalla sfera delle rivendicazioni puramente economiche alla sfera più direttamente politica delle lotte per la libertà e contro il totalitarismo di tipo nuovo, che s’insinua già da un po’ di tempo e che trova nella crisi attuale del Covid-19 un carburante abbondante per accelerare il suo sviluppo.
Allontanarlo dalla sfera economica, non implica sottostimare il capitalismo come principale nemico, poiché il nuovo tipo di totalitarismo al quale faccio riferimento costituisce un pezzo assolutamente fondamentale della nuova era capitalista, che nasce da questa enorme innovazione tecnologica che fu, e continua a essere, la rivoluzione digitale.
Come per la rivolta dei luddisti, nemmeno questa rivolta è motivata da ragioni tecnofobe ma ha come stimolo principale la rivendicazione della libertà e dell’autonomia, con la coscienza chiara che, se non riusciamo a fermare l’avanzata del nuovo totalitarismo, le possibilità di lotta e di resistenza contro la dominazione e lo sfruttamento saranno annullate o ridotte ad essere insignificanti.
Non è necessario descrivere qui l’insieme degli strumenti e delle procedure di controllo che sono già attive a grande scala o che cominciano ad essere messe in opera, l’informazione a questo riguardo è abbondante e accessibile a tutti. Allo stesso modo, risulta inutile raccontare delle lotte che si delineano di fronte all’espansione generalizzata del controllo sociale. Esse sono ben conosciute e vanno dalle azioni di pirataggio informatico al sabotaggio delle antenne 5G, passando per le pratiche di lasciare il telefono cellulare a casa e di svincolarsi dal suo uso, fino ad arrivare alle attività collettive che consistono nella costituzione di reti locali e comunitarie.
Ciononostante, mi sembra opportuno sottolineare la continuità che soggiace ai cambiamenti sperimentati dal sistema economico, almeno in occidente, da quando la ragione scientifica ha creato le condizioni per cui le tecniche in mano a produttori e artigiani si trasformassero in tecnologie, il cui uso superava la dimensione e le capacità dei soggetti locali per integrarsi tanto nel sistema produttivo di grande scala quanto nelle strutture del potere statale.
È proprio questo stretto legame tra la ragione scientifica, le tecnologie e le strutture del potere economico e politico, che attraversa tutta la storia della modernità e del capitalismo e che rende conto di questa ipermodernità nella quale la rivoluzione digitale rafforza il legame tra le tre entità che ho menzionato più sopra. Ciò promuove una trasformazione del capitalismo, convertito oramai in capitalismo digitale e capitalismo della sorveglianza, che avanza verso un totalitarismo di un genere nuovo nella sfera politica.
Contrariamente ai precedenti regimi totalitari, sono i soggetti stessi che forniscono costantemente, attraverso tutti i loro comportamenti, gli elementi che permettono la loro sottomissione integrale. È la loro stessa vita che nutre i dispositivi di controllo e normalizzazione in un ambiente che non conosce un “al di fuori” e che non utilizza come strumento principale la repressione ma l’incitamento.
Il Covid-19 ha dato nuovo slancio allo sviluppo di misure di controllo sociale sofisticato, grazie alla domanda di biosicurezza suscitata dalla paura della popolazione di fronte ai rischi biologici. Quello che è accaduto a partire dalla dichiarazione della pandemia e il decreto d’eccezione che ne è seguito, denominato nello Stato spagnolo come “stato d’allerta”, non lascia alcun dubbio sul fatto che un gran numero di persone non solamente non si opporrebbe ma accetterebbe volentieri di essere sorvegliato e di sottomettersi volontariamente all’imperativo dell’autosorveglianza per prevenire la malattia.
Questo coronavirus anticipa così il succedersi più che probabile di nuove pandemie dal pericolo simile o maggiore. Senza dubbio, il rischio biologico fa parte della condizione umana stessa, benché la probabilità che avvenga e le sue conseguenze sono favorite dalle condizioni di vita attuale: le grandi agglomerazioni umane pigiate in città gigantesche, una globalizzazione che promuove intercambi mercantili costanti e veloci a livello planetario, mezzi di trasporto che favoriscono flussi di popolazione incessanti, una riduzione degli investimenti nei servizi di salute pubblica e, certamente, il degrado ambientale.
Bisogna sottolineare che l’ultimo dei fattori che ho citato non è che un fattore in più e probabilmente nemmeno il più importante tra quelli che favoriscono le pandemie. Questo non vuol dire che non dobbiamo lottare contro i rischi ambientali, ma che focalizzarsi eccessivamente su di essi possa contribuire a nascondere la minaccia più importante e immediata legata al rischio biologico, e distorcere l’attenzione dagli avanzamenti del neototalitarismo occultando il fatto che, se non riusciamo a fermare la minaccia totalitaria che si amplifica nelle minacce biologiche, non potremo nemmeno continuare a lottare contro la degradazione del pianeta.
Sono passati ormai una quarantina di anni da quando Michel Foucault ha proposto il concetto di “biopotere” per caratterizzare la nuova modalità di governance articolata dal neoliberismo e sembra che la gestione della vita, la biosicurezza e il controllo delle popolazioni al quale faceva riferimento occupino oggi uno spazio privilegiato nell’agenda del capitalismo digitale proprio alla nostra ipermodernità.
Il nuovo totalitarismo ha a sua disposizione tutto l’arsenale del controllo sociale fornito dalla tecnologia digitale, e nello stesso tempo questa stessa tecnologia gli apre l’immenso campo dell’ingegneria genetica. Se mettiamo in relazione rischi biologici, biopotere, capitalismo digitale, biotecnologie e neototalitarismo è facile intuire che uno degli effetti della pandemia sarà quello di predisporre le popolazioni a accettare, più presto che tardi, l’intervento biogenetico per renderci “resistenti” ai coronavirus e altri parassiti virali. Tutto ciò certamente non accadrà domani, ma in un lontano avvenire distopico dove il transumanesimo renderà possibile la modificazione “razionale” della specie umana. Ho detto “lontano”, ma al ritmo al quale cambiano le cose questo avvenire non si farà aspettare se non riusciamo a invertire il senso della marcia.
Per fortuna, la lunga storia dell’umanità ci insegna che sono sempre rimaste delle sacche di resistenza e di energie non sottomesse che hanno saputo promuovere pratiche di libertà perfino nelle situazioni più inospitali. Sono queste pratiche e le lotte che queste incoraggiano che permettono nutrire un certo ottimismo… malgrado tutto.