Intervista di Luigi ad alcuni/e promotori/trici della rete di moneta sociale ORA, da Rivista Malamente n. 24 (mar. 2022).
Esistono moltissime esperienze di monete sociali, alternative, complementari, locali… ognuna con le sue caratteristiche ma accomunate dal tentativo di uscire dalle logiche monetarie “ufficiali”, per costruire sistemi territoriali di scambio basati sul mutualismo e la solidarietà. Uno di questi progetti è avviato ormai da diversi anni in provincia di Pesaro e Urbino, sviluppato dalla rete di economia solidale che ruota attorno a Oltremercato, il mercato contadino autogestito nato da un’assemblea di produttori che condividono le pratiche e il manifesto di Genuino Clandestino. La moneta si chiama ORA ed è, in sostanza, un’unità di misura dello scambio, un intermediario tra domanda e offerta di beni e servizi che permette il “dare” e “avere” senza bisogno di far circolare euro. Qualcosa di ben più strutturato di un semplice baratto. Si tratta di un sistema che rimette in discussione il nostro rapporto con il denaro: le ORE non vengono accumulate nelle mani di qualcuno, anzi spingono tutti i membri a partecipare alla vita della comunità, con quello che sanno fare o produrre, incoraggiano gli scambi e le relazioni solidali. La vitalità del progetto si fonda su una comunità locale ispirata ai principi della fiducia, della reciprocità e della cooperazione, con il fine di promuovere l’autogestione e l’indipendenza dal sistema delle merci e con la visione, in prospettiva, di una radicale trasformazione sociale a partire da una concreta alternativa di vita al capitalismo.
Voi fate parte di una rete che già da qualche anno promuove una “moneta sociale”, chiamata ORA, come mezzo di scambio alternativo all’euro. Andando subito al pratico: come funziona questo meccanismo? Come si innesca quel circuito a più soggetti che supera i limiti del baratto (dare/avere) tra due persone?
UBA. Dal punto di vista pratico è in sostanza un baratto tra più persone, fatto in tempi diversi, facilitato da un programma gestionale che tiene conto degli scambi. Quando una persona si iscrive apre un conto che parte da zero e può iniziare subito a scambiare beni e servizi con tutti gli altri: ogni volta che vende qualcosa il suo conto sale di qualche ORA, ogni volta che acquista scende. La somma di tutti i conti è sempre zero. Un esempio per capirci meglio: io vado da Michelina a fare un lavoro di muratura e mi faccio pagare in moneta sociale – poniamo cinque ORE – quindi registro la transazione che accredita a me queste cinque ORE e le addebita a Michelina; domani con le mie ORE posso andare a fare la spesa alimentare al Gas Nomade[1], il mio conto scenderà e salirà quello del Gas Nomade, e così via.
La quantità di moneta in circolazione viene in qualche modo limitata?
LIA. In realtà non c’è nessuna “moneta” in circolazione. La definizione esatta del nostro sistema sarebbe: “sistema non monetario di scambio multireciproco”, perché non c’è una moneta virtuale, ma solo una contabilizzazione delle transazioni. Ed è importante comprendere che il programma gestionale che usiamo contabilizza scambi pensati e agiti totalmente al di fuori del gestionale stesso, cioè non stiamo sviluppando un’economia virtuale ma tutto parte e rimane nell’economia relazionale e reale.
UBA. In effetti, di per sé lo strumento informatico non garantisce nulla, ci vuole sempre un luogo fisico in cui la gente si possa incontrare. Gli scambi avvengono se ci sono occasioni reali, come nei mercati, o dentro il giro del Gas Nomade, o attorno ad alcune piccole realtà di prossimità, di vicinanza, che usano moneta sociale per scambiarsi lavoro reciproco. Abbiamo una bacheca virtuale del cerco-offro ma sarebbe inutile se non ci fossero fisicamente dei momenti relazionali, di incontro.
Poi, riguardo ai limiti, va detto che i conti aperti sul gestionale hanno la possibilità di andare in negativo o in positivo e che è la rete a stabilire gli estremi che preferisce dare per consentire fluidità agli scambi. Infatti è molto importante non aver paura di scambiare anche se si ha un conto in negativo. La salute di un conto si vede dalla sua attività, dal numero degli scambi… essere sotto non significa per forza essere in debito, ma semplicemente porta a ricercare la consapevolezza di quello che possiamo offrire alla comunità. Diversamente, un conto troppo in positivo potrebbe anche diventare un problema, ma possiamo intervenire insieme con delle misure di compensazione per evitare che questo banale squilibrio, proprio di tutte le monete complementari, freni la dinamica degli scambi.
Non c’è un’entità centrale che regola e sovrintende alla vostra moneta?
LIA: No, la nostra è una rete orizzontale che prevede la presenza non tanto di un nodo centrale, ma di un gruppo di coordinamento, il cui ruolo è accertarsi della salute della rete stessa. Questo gruppo non interviene sui singoli scambi, quello che deve fare è più che altro tenere sotto controllo eventuali problemi di eccessivo squilibrio, di accumulo di ORE in positivo o in negativo. Comunque gli squilibri sono fisiologici, l’importante è che restino in qualche modo governabili dalla rete stessa, anche tramite delle strategie che consentano delle vie d’uscita. Si tratta di osservare l’andamento del sistema, fare monitoraggio.
Noi siamo un po’ a metà strada tra una moneta complementare e una banca del tempo: la rete nasce con i produttori che vi hanno portato dentro il loro lavoro insieme all’esigenza di fare dei lavori collettivi, ma è pensata per poter permettere di valorizzare ogni tipo di scambio. Non ci sono distinzioni tra produttori e fruitori, né tra aziende e hobbisti: nel circuito si entra come persone integrali con tutto il bagaglio di competenze, offerte e necessità, sia umane che professionali.
Rispetto alle classiche banche del tempo quello che abbiamo fatto è stato di attribuire all’ORA il valore ipotetico di un’ora di lavoro. Dopo una serie di ragionamenti non semplici, che hanno portato a un risultato probabilmente non perfetto, siamo arrivati a equipararla a otto euro. Questo va inteso come un corrispettivo teorico, perché l’ORA resta sempre interna alla rete, è un circuito a somma zero, non esiste un “cambio” ORA-Euro. Tuttavia questa equivalenza ci permette di comunicare a piacimento con il mercato in euro, da cui sappiamo di non poter prescindere.
GREGORIO. L’utilità di aver fissato un’equivalenza tra euro e ORA, nella misura di otto euro, serve sia per i processi di descapitalizzazione (di cui parleremo dopo), sia per stabilire i prezzi dei prodotti in ORE. Io, ad esempio, produco carne di maiale. Per determinare il prezzo nel circuito della moneta sociale potrei semplicemente convertire in ORE il prezzo in euro a cui vendo abitualmente la carne, nel rapporto uno a otto. Ho però cercato anche di fare lo stesso calcolo per un’altra via che includesse gran parte delle valutazioni che costituiscono la mia attività. Ho messo insieme il tempo di lavoro impiegato in allevamento con le spese per il cibo, attrezzature e materiali che acquisto, e ho calcolato il tutto nell’equivalenza di un’ora di lavoro per un’ORA e di un’ORA per ogni otto euro spesi. Insomma, ho visto che alla fine il prezzo di un kg di carne, anche calcolandolo in questo modo, viene sempre lo stesso.
Quindi posso concludere che, nel caso di un allevatore come me, questi parametri di calcolo sono tutto sommato realistici. Questo è un riferimento molto interessante per noi che nasciamo come gruppo di produttori e ragioniamo spesso sul valore del lavoro agricolo. Ma è ancora più stimolante nel confronto con altri settori e con i servizi.
Domanda banale: ma l’ora impiegata per aiutare a fare la recinzione nell’orto, rispetto all’ora di lavoro del dentista… si equiparano tenendo a riferimento sempre gli stessi otto euro?
LIA. Questa è la grande domanda, ma è il motivo per cui l’abbiamo chiamata ORA. È vero che l’equivalenza tra un’ora di tempo e un’ORA non è sempre limpida; noi ci siamo interrogati a lungo se un’ora passata a fare dei centrini in compagnia bevendo delle tisane valesse come un’ora impiegata a pulire una stalla e ci siamo detti che tendenzialmente può essere così. Nella realtà però questa cosa viene lasciata alle libere dinamiche di scambio e agli accordi personali che vengono presi. Cioè, se tu mi vieni ad aiutare in un lavoro particolarmente pesante, possiamo decidere che la tua ora di lavoro io te la paghi, poniamo, due ORE.
Con la stessa libertà condivisa di quando decidiamo di lasciare una parte dello scambio in euro (senza che questo interessi il gestionale) oppure, al contrario, considerare una parte di dono in uno scambio “leggero” tra amici.
UBA. Il prezzo del servizio o del prodotto viene sempre stabilito da chi lo vende, come nel mercato classico. Il paragone con gli otto euro e il nome stesso di ORA che abbiamo voluto legare all’ora di tempo, sono più che altro dei riferimenti, poi chi vende è libero di fare il suo prezzo. Ad esempio l’ammortamento di eventuali macchinari va al di là dell’ora di tempo di lavoro, e ognuno se lo calcola in base ai suoi parametri.
Questo circuito di moneta sociale si basa necessariamente sulla fiducia reciproca. Quali sono i criteri che un soggetto deve rispettare per poter essere ammesso nella rete?
TOMMASO: Certamente la moneta sociale si basa sulla fiducia, altrimenti non funzionerebbe. Ma il ragionamento sulla fiducia non è esclusivo (cioè non è limitato al: ti conosco personalmente, mi fido di te), ma è ovviamente più esteso. È un tipo di fiducia che assomiglia anche all’idea di “garanzia” del circuito delle MAG, alle quali dobbiamo tanto, perlomeno in termini di formazione. Generalmente nel circuito non entra una persona conosciuta da tutti, ma entra una persona che è in qualche modo collegata a uno dei progetti della rete. Ci sono diverse realtà che non facevano parte del gruppo fondativo ma avevano una loro autonomia, realtà con le quali c’era un rapporto di fiducia legato ai progetti che si portano avanti e questo è già una “garanzia” sufficiente perché quelle persone entrino a pieno titolo nel circuito.
La prima presentazione pubblica della moneta sociale l’abbiamo fatta diversi anni fa alla Festa della sostenibilità organizzata dal gas di Fano. Chiunque passava al nostro stand poteva aprire il suo conto e iniziare a fare acquisti pagando in ORE. La cosa interessante è che quelli che sono poi rimasti sono persone che avevano in qualche modo interessi, relazioni e coerenza rispetto alla rete.
Ma come si riesce a far capire a chi vuole entrare che non si tratta solo di una rete economica, ma di una rete sociale. Che ha dei valori di fondo. Perché ci possono essere persone distantissime a livello valoriale, di visione del mondo, ma che sono interessate al solo meccanismo di scambio economico…
UBA. La nostra moneta sociale nasce come strumento di una rete che già esisteva – Oltremercato –che aderisce a Genuino Clandestino e ha un suo manifesto dove i valori di fondo che ci animano sono ben dichiarati. Il problema, in effetti, può presentarsi andandoci ad aprire a un contesto più largo, o meno caratterizzato politicamente. Il fatto che una rete si dichiari antifascista, antirazzista e antisessista non è un motto di appartenenza ma un modo per esplicitare inequivocabilmente gli elementi contrari alla riuscita dei nostri progetti.
LIA. Di per sé questo è un terreno scivoloso, perché la moneta sociale è stata anche cavallo di battaglia di sovranismi ante litteram, ed è stata talvolta intesa come moneta sostitutiva dell’euro per uscire dalla moneta di Stato e dall’economia del debito, ma inteso come meccanismo di indebitamento tra gli Stati. Noi su questa cosa abbiamo sempre glissato, dicendo che questo piano di discussione non ci interessava, passando a volte anche per essere un po’ naïf. Il fatto è che a noi serve una moneta a servizio di una rete territoriale di economia reale: la moneta sociale è solo un mezzo, non un fine. È lo strumento che ci permette di collegare pezzi di una rete che è già di per sé valoriale. Il discrimine, quindi, non è tanto per entrare nel gestionale della moneta sociale, ma per entrare nelle reti di economia reale, che sono reti con i loro manifesti, le loro posizioni politiche, i loro paletti in tema di valori. Questo percorso dovrebbe secondo noi sviluppare gli anticorpi necessari nel momento in cui ci sarà un’apertura più allargata oppure un incremento più rapido degli iscritti. Poi, nella situazione che stiamo vivendo, siamo tutti consapevoli che abbiamo problemi ben più seri del Covid, per quanto terribilmente interconnessi con la gestione pandemica, problemi ben presenti anche prima. Per questo, nel caos imperante e nella polarizzazione che ci vuole tutti connessi e tutti divisi, è sempre più importante intenderci, attraverso le pratiche e il conflitto, sugli orizzonti comuni cui tendere per il progetto quotidiano di una società migliore.
Il sistema gestionale che utilizzate viene dalla Catalogna, sviluppato dalla Cooperativa Integral, una realtà territoriale che utilizza la moneta sociale all’interno di una prospettiva di trasformazione sociale; cioè che inserisce il discorso e la pratica della moneta sociale all’interno di un progetto rivoluzionario – assembleare, comunitario, libertario – che viene chiamato “rivoluzione integrale”. Un sistema che vuole essere “integralmente” alternativo al capitalismo, che si basa sui principi dell’autogestione per affrontare tutti gli aspetti dell’attività economica (produzione, consumo, credito e moneta), ma anche per assicurare tutta una serie di servizi di base (casa, educazione, salute, trasporti etc.). Qui a che punto siamo?
TOMMASO. Sul piano dello sviluppo teorico siamo in perfetta linea con i catalani, anche se poi quel che si riesce praticamente a realizzare sul territorio è ridimensionato alla gradualità della vita quotidiana (quella integrale è una rivoluzione fatta di piccoli passi).
Il nostro circuito di moneta sociale è nato proprio invitando qui i catalani per farci raccontare la loro esperienza, con una intensa tre giorni di autoformazione nell’inverno 2015. Ne sono seguite molte discussioni e assemblee, e a settembre 2016 abbiamo iniziato a usare il gestionale.
GREGORIO. Va detto che la moneta sociale può restare, di per sé, una specie di gioco, perché quegli scambi potresti benissimo farli in euro, ma quello che cambia tutto è quando inserisci la moneta sociale all’interno di un contesto che lavora a un livello più ampio. Ecco, la nostra moneta sociale non è nata come una proposta isolata ma come un pezzo, tra gli altri, di una progettualità molto ampia di autogestione, di autonomia, di solidarietà, di autodeterminazione del territorio; è nata all’interno della costruzione di un progetto a lungo, lunghissimo termine, che aveva molte affinità con quanto stava già portando avanti la Cooperativa Integral Catalana. La moneta sociale ci è sembrata, tra i vari pezzi, uno di quelli prioritari e a cui dedicarci fin da subito anche perché ha la capacità di mettere in relazione progetti già esistenti sul nostro territorio (i mercati, i GAS, le associazioni etc.).
Cosa vi aspettate in futuro?
LIA. Di solito le monete sociali nascono e prosperano in momenti di crisi economica e sociale, quindi nostro malgrado ci troviamo in un momento propizio, con uno strumento che è già almeno un po’ rodato. D’altra parte, una delle finalità della moneta sociale è consentire l’accesso ai beni di prima necessità anche a chi ha scarsa liquidità. In particolare nel nostro caso siamo partiti dai prodotti contadini e genuini di Oltremercato e Gas Nomade. Poi ci auguriamo che le esperienze di reciprocità (intese anche come mutuo aiuto) possano, con l’allargamento della rete, interessare sempre più offerte di beni e servizi. Nella rete non è necessario privarsi di nulla per dare a qualcun’altro e non è più necessario possedere degli euro per soddisfare le necessità.
Se la crisi economica non si accompagna alla depressione, perfino psicologica, che porta all’immobilizzazione e all’isolamento, allora possiamo dire di avere in mano un buono strumento.
UBA. Adesso siamo in una situazione stabile, abbiamo un centinaio di conti aperti, la metà con scambi attivi, di questi un quarto scambia saltuariamente, un quarto regolarmente. Fino a oggi abbiamo scambiato più di seimila ORE.
LIA. In effetti siamo in un momento di relativa stasi, così come un po’ tutte le monete sociali. Il momento è difficile per tutti e questo non è consolante, perché se strumenti di questo tipo, che come dicevamo devono aiutare in momenti di crisi, in realtà proprio in questi momenti non riescono a decollare, allora bisogna farsi delle domande sulla fragilità dei sistemi basati sulle relazioni. Da noi comunque l’integrazione con il Gas Nomade, già dal primo lockdown, ha dato molto ossigeno ed è stato probabilmente il primo esperimento, su scala nazionale, di integrazione della moneta sociale con i Gruppi d’acquisto solidale.
TOMMASO. Penso che le difficoltà che stiamo vivendo in questo momento siano comuni a gran parte dei contesti collettivi. Penso che, oltre a cercare risposte nella situazione contingente, in questa fase stiamo anche affinando gli strumenti di tenuta del circuito.
Per il futuro sarebbe bello se nascessero nuove reti autonome sul territorio, che avessero voglia di incontrarsi periodicamente, di coordinarsi. Questa possibilità di contaminazione reciproca può essere vissuta in molti modi differenti. Ad esempio come semplici “utilizzatori” della moneta sociale perché la si ritiene utile nei propri contesti solidali e di vicinato, anche per progetti molto circoscritti. Dopotutto la caratteristica del circuito è la condivisione; poco importa di quali dimensioni e a quale livello di compenetrazione con il resto della rete. L’importante è uscire da una logica individualistica e competitiva. In una visione più lungimirante questa contaminazione può essere vissuta come adesione a un progetto di espansione di un’idea di Ecorete.
Ecorete è la parola che usiamo per indicare una collettività che impara ad autogovernare le proprie funzioni, a partire da quella ecologica. Ecologia in senso lato, s’intende. Dalla vicinanza, alla relazione, al territorio… poi, ultimamente, ci capita di avere a che fare con realtà già capaci di autonomia propria o geograficamente distanti, che hanno la forza per creare un nuovo sistema di scambio. Questo significa nuove monete sociali, che nascono altrove per fare cose simili alle nostre, anche se con urgenze e modalità differenti.
Il passaggio successivo è capire come federare queste monete tra di loro per dare solidità ai progetti comuni. In questo progetto, che mostra un carattere internazionalista, i compagni visionari delle Cooperative Integrali, con il loro multiportafoglio, sono stati grandi anticipatori.
Prima si è parlato di “descapitalizzazione”: vogliamo spiegare di cosa si tratta?
TOMMASO. In origine, la descapitalizzazione nasce quando all’interno della rete non c’è un determinato prodotto e bisogna quindi andarlo a comprare sul mercato. Qualcuno dovrà mettere degli euro per effettuare l’acquisto, ma poi questo prodotto viene reso disponibile all’interno della rete, in ORA. In sostanza: togli un certo bene dal mercato del capitale, quindi in euro, e lo rendi disponibile in moneta sociale. L’avvenuto scambio in moneta sociale ha drenato risorse dal mercato (sacrificando degli euro come di consueto) e ha generato un valore aggiunto che viene trattenuto all’interno della rete (lo scambio).
Questo gioco della descapitalizzazione diventa un potente circuito mutualistico perché chi ne ha la possibilità può mettere a disposizione degli euro senza perdere nulla (qua non si dona e non si fa beneficenza!), ricevendo sul proprio conto un corrispettivo in ORE. Con questi euro collettivizzati possiamo comprare qualunque cosa, dalle arance siciliane al gasolio. Chi non ha questa disponibilità di euro, quindi, può utilizzare la moneta sociale per l’acquisto e così aumentare il proprio potere d’acquisto semplicemente grazie alla possibilità di mettere a disposizione tempo e capacità per la rete. Per noi questo significa fare economia reale e redistribuzione della ricchezza.
GREGORIO. Un esempio pratico: il mio forno. Io avevo un vecchio forno a legna che volevo risistemare per fare la porchetta da portare ai nostri mercati. Non avevo soldi da dedicarci, anche perché non era una delle mie priorità, e allora ho proposto il progetto alla rete che lo ha collettivamente valutato e accettato. Il lavoro per la realizzazione dell’opera è stato pagato in moneta sociale. Però per coprire il costo dei materiali abbiamo dovuto fare un’operazione di descapitalizzazione, andandoli ad acquistare nel mercato esterno. In pratica tutti i partecipanti alla rete potevano contribuire dando euro e ricevendo ORE. Questi euro sono stati accumulati in una cassa intermedia e poi sono arrivati a me, semplicemente in cambio delle mie ORE: questo mi ha permesso di pagare le fatture pur essendo squattrinato. Ovviamente questo è possibile sempre grazie al rapporto di equivalenza di un’ORA con otto euro.
Quindi la descapitalizzazione può essere molte cose insieme. Sicuramente ha una funzione come sistema di compensazione per il problema che dicevamo prima degli squilibri, ma diventa anche una possibile “via di fuga” per i produttori, i quali sanno che se accumulano tante ORE possono a un certo punto rientrare, sviluppando un progetto in base a quello di cui hanno bisogno oppure semplicemente chiedendo un intervento della rete in un momento di necessità.
LIA. L’idea parte dal concetto di “sostegno al produttore”, pianificazione condivisa e preacquisto tipico dei GAS. Ma è un’operazione più forte perché spalmata su tutta la rete. Si può dire che è lo stesso concetto di CSA (Comunità di Supporto all’Agricoltura), anche se non riferito in modo frontale a un solo produttore o a una cooperativa ma a tutte le realtà di produzione che fanno parte di questa comunità.
La descapitalizzazione quindi è a tutti gli effetti un sistema di microcredito. In futuro vedremo cosa vorremo farci, anche andando oltre al discorso sulla produzione di cibo e sull’agroecologia. Tutto rientra nella progettualità di un rafforzamento reciproco tra la rete nel suo complesso e i suoi singoli elementi, ripartendo dai bisogni reali, costruendo solidarietà. Oltre il Mercato.
[1]Il Gas Nomade è un sistema di distribuzione di prossimità di prodotti contadini, che mette in relazione le realtà dei GAS (Gruppi d’acquisto solidale) del territorio di Pesaro-Urbino e il collettivo di Oltremercato.
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