Redazione Malamente
Ieri (07 maggio) a Kiev, in una località che è stata tenuta segreta per motivi di sicurezza, si è svolta la commemorazione di tre volontari internazionalisti caduti in combattimento a Bakhmut il 19 aprile, quasi impercettibili tra le centinaia di vite che vengono falciate ogni giorno dalla guerra sul lato ucraino e russo.
Questi tre uomini hanno però un significato particolare perché raccontano una storia minoritaria ma per noi molto importante all’interno della tragedia in corso. Dmitriy «Leshy» Petrov, Finbar «Chia» Cafferkey e Cooper «Harris» Andrews erano tutti e tre internazionalisti e attivisti antifascisti nei loro paesi. La piccola celebrazione in forma privata ha coinvolto decine di attivisti ucraini e di altre nazionalità, insieme ad alcuni familiari giunti dall’estero per l’occasione.
A Kiev dall’inizio della guerra esiste infatti una piccola ma resiliente rete di volontari/e, attivisti/e, militanti che nonostante e contro le difficoltà della guerra lottano per l’emancipazione sociale, sostengono lotte sindacali, forme di mutuo appoggio, forniscono sostegno materiale ed emotivo alle vittime della guerra e mantengono viva una elaborazione politica critica verso la società ucraina mentre al tempo stesso partecipano alla sua difesa. La cerimonia è stato un momento di emozione intensa, in cui sono emerse le biografie di questi uomini che nel momento della morte hanno mostrato controluce le aspirazioni, le passioni, le difficoltà di milioni di esseri umani che lottano per la liberazione in questo mondo in fiamme.
La propaganda russa anche in Italia sta tentando in questi giorni, inutilmente, di infangare il loro nome e la loro traiettoria di lotta con fantasiose ricostruzioni che raccontano una inesistente collaborazione o subordinazione alle forze neonaziste ucraine. Chi conosce la storia, l’etica e la pratica di questi compagni caduti o chi si sia preso il disturbo di passare anche solo qualche giorno in Ucraina nell’ultimo anno e mezzo capisce che quelle che circolano sui canali filorussi sono solo manipolazioni e infamie.
Tuttavia è importante fermarsi a raccontare e approfondire la storia e il profilo di questi attivisti perché essi mostrano una ricchezza umana, un coraggio e una capacità di visione del futuro che dobbiamo difendere e rafforzare nella nostra pratica quotidiana. Nelle loro biografie, infatti, la guerra non appare come un valore in sé o come qualcosa da celebrare, ma come un elemento tragico e inevitabile nei conflitti per l’emancipazione delle classi subalterne. C’è un filo rosso che unisce le lotte nelle metropoli degli Stati Uniti e della Russia, nelle campagne dell’Irlanda e del Rojava, con quello che sta succedendo oggi sul fronte est dell’Ucraina.
Inferno a Bakhmut
Bakhmut ormai è stata cancellata dalla faccia della terra. Mesi e mesi di combattimenti senza sosta e di una intensità indescrivibile hanno trasformato in un paesaggio lunare la cittadina produttrice di vino che prima del febbraio 2022 contava oltre settantamila abitanti. La propaganda del Cremlino ha trasformato questo centro situato a circa novanta chilometri a nord di Donetsk in un obiettivo fondamentale da raggiungere, rendendolo un tritacarne in cui, secondo le loro stesse stime, sarebbero morti 30.000 e feriti 100.000 uomini delle forze federali e della compagnia di mercenari Wagner.
La resistenza ucraina paga quotidianamente in vite umane per questa follia devastatrice. Durante la battaglia per la strada chiave per i rifornimenti ucraini sulla via di Bakhmut, il 19 aprile, Dmitriy «Leshy» Petrov, Finbar «Chia» Cafferkey e Cooper «Harris» Andrews hanno partecipato a una operazione offensiva contro le truppe russe. Dopo aver conquistato una posizione avanzata sono stati oggetti del fuoco di artiglieria, sono morti insieme a un numero imprecisato di soldati ucraini. I loro corpi, mentre scriviamo, sono ancora irraggiungibili aldilà delle linee nemiche.
Dmitriy «Leshy» Petrov, russo, dottorando in storia e autore di diversi testi sull’esperienza rivoluzionaria del Rojava, era emigrato dal suo paese per sfuggire alla repressione del regime putiniano contro cui si batteva dall’inizio degli anni 2000. Petrov si è battuto per l’ambiente, i diritti dei lavoratori e contro le speculazioni edilizie, lottando in prima linea contro i neonazisti russi. Aveva preso parte alle proteste in Bolotnaya dopo le elezioni russe del 2011, a quelle di Maidan in Ucraina nel 2014, e a quelle in Bielorussia nel 2020. Fondatore del BlackBlog e del Gruppo di combattimento anarco-comunista (BOAK), ha partecipato a numerose azioni di sabotaggio in Russia. Dopo i suoi viaggi in Siria del Nord ha creato il canale di lingua russa sul Rojava “Hevale” ancora attivo su Telegram.Dal 2017 era rimasto lì un anno e mezzo allacciando relazioni con numerosi militanti internazionalisti e promuovendo attivamente un confronto politico e culturale con i progetti del Confederalismo democratico. Quando è tornato in Russia si è reso conto che era pericoloso rimanere in patria e così si è trasferito a Kiev come molti giovani oppositori del regime di Putin. Ha continuato a combattere l’autoritarismo partecipando alle proteste in Bielorussia; un collettivo anarchico di quel paese – Pramen.io – lo ricorda così: “Durante la sua permanenza a Minsk ha partecipato a decine di cortei, ha aiutato a organizzare blocchi anarchici alle manifestazioni ed è persino riuscito a lanciare granate stordenti contro i poliziotti. Di notte, quando molti bielorussi riposavano, Leshiy e altri compagni sono usciti per le strade di Minsk e hanno distrutto le telecamere di sorveglianza che svolgevano un ruolo importante nell’infrastruttura della repressione. Dima ha contribuito anche al progetto Pramen: nell’autunno del 2020 ha preparato diversi materiali per il nostro sito web. Se avete mai marciato per Minsk accanto a una colonna di anarchici, è molto probabile che abbiate camminato fianco a fianco con quest’uomo incredibile”.
Quando è iniziata la guerra su vasta scala, lui e altri anarchici si sono uniti alle forze di difesa territoriale per difendere la società ucraina e per combattere contro l’imperialismo russo. È stato uno dei fondatori del Comitato di resistenza, un’associazione di combattenti antiautoritari che promuove l’autodifesa popolare contro l’invasione. Leshyi ha sempre rifiutato qualsiasi tipo di nazionalismo, ha basato le sue azioni esclusivamente su valori e sugli ideali anti-autoritari. Ultimamente stava cercando di creare una nuova unità di combattenti basata su questi principi. Allo stato attuale, infatti, i combattenti volontari internazionalisti che vogliono combattere con un inquadramento regolare devono necessariamente entrare nella Legione internazionale, costruita dall’esercito ucraino per gestire l’afflusso di volontari dall’estero, mentre gli ucraini sono inquadrati in diverse unità della Difesa territoriale o nei battaglioni dell’esercito regolare ucraino secondo le diverse specialità militari. Resistance Committee è una forma di coordinamento trasversale alle varie unità di tutti i compagni e le compagne che si riconoscono negli ideali libertari ed egualitari. Di fatto esiste dunque una rete di combattenti che però non ha ancora raggiunto il riconoscimento ufficiale dell’esercito né un comando autonomo.
Finbar «Chia» Cafferkey, 45 anni irlandese, aveva una lunga esperienza di attivismo in patria; i suoi compagni ricordano il suo impegno contro la costruzione di un oleodotto della Shell sull’isola, così come la sua partecipazione a numerose altre proteste ambientaliste. Nel 2015 viaggiò in Grecia per sostenere i rifugiati detenuti sull’isola di Kos. In seguito il suo impegno per la giustizia sociale lo ha portato in Siria, dove ha preso parte alla rivoluzione nel Rojava come combattente internazionalista. Lì ha fatto esperienza militare spalla a spalla con i compagni curdi contro l’ISIS e l’imperialismo turco. Con lo scoppio della guerra su larga scala in Ucraina, ha viaggiato nelle città in prima linea più pericolose con i compagni della iniziativa umanitaria Help War Victims, con cui ha aiutato la popolazione colpita dalla guerra. Più tardi si è unito agli anarchici combattenti del Comitato di resistenza.
La sua morte ha sollevato un forte dibattito pubblico in Irlanda, suo fratello Colm ha recentemente dichiarato alla stampa: “Mio fratello Finbar è sempre stato una persona giusta, volitiva e senza paura. Si è opposto a tutte le forme di imperialismo, sia esso statunitense, britannico o russo, e si è opposto fermamente al sostegno dell’Irlanda alle truppe statunitensi e a qualsiasi iniziativa di adesione alla NATO. Era in Ucraina per aiutare il popolo ucraino, come avrebbe aiutato qualsiasi persona al mondo che fosse stata sotto attacco. Gli ho voluto bene e ho sempre ammirato il suo coraggio lucido”.
Cooper «Harris» Andrews, 26 anni, era un afroamericano attivista di sinistra. Originario dell’Ohio era coinvolto in un gran numero di attività solidali. Il fondatore dei media indipendente Popular Front, Jack Haranan lo ha ricordato così: “Cooper è stato un vigile del fuoco volontario tra gli incendi selvaggi in Texas, Colorado e Idaho. Cooper è salito al grado di sergente nei Marines in soli due anni. Cooper ha lavorato a progetti di edilizia popolare a Cleveland. Cooper ha tenuto corsi di autodifesa alle persone più in pericolo. Cooper ha aiutato i suoi amici e si è preso cura di chiunque fosse in difficoltà”. Con l’inizio dell’invasione russa su larga scala, non ha potuto farsi da parte e si è unito inizialmente alla Legione internazionale per combattere contro l’imperialismo russo. Alla fine del suo turno di combattimento, a marzo 2023, ha scelto di restare sul campo per unirsi all’unità combattente degli anarchici.
Il centro sociale The Ryzome House di Cleveland lo ricorda così: “Cooper era un caro amico per molti di noi ed era un compagno per tutti noi. Cooper ha contribuito a fondare il nostro progetto. Quando era solo una vaga idea, ne vide chiaramente la necessità e il potenziale. Quando eravamo incostanti e sul punto di mollare, ci ha tenuto stretti. Quando era impegnato ad addestrarsi e a diventare il soldato che stiamo onorando, ha messo da parte i fondi che sarebbero serviti a pagare i costi di apertura della nostra sede. Il movimento anarchico di Cleveland non sarebbe nulla senza di lui e la sua assenza è dolorosa. È il nostro eroe e il suo ricordo è un esempio di coraggio, abnegazione e dei principi di autonomia, solidarietà e internazionalismo. Ti vogliamo bene Cooper”. La madre di Cooper, Willow, ha aperto una raccolta di fondi per sostenere alcuni progetti sociali a cui il figlio aveva partecipato come Mutual Aid Disaster Relief, Food not Bombs e Rhizome House (https://www.gofundme.com/f/317qi30ti0).
In conclusione pubblichiamo un estratto dal testo pubblicato da Dmitry Petrov nel giugno 2020 sul canale Telegram “Anarchist Combatant” dal titolo La missione dell’anarchismo nel mondo attuale, perché pensiamo che sia importante ascoltare dalla sua voce le ragioni che hanno sostenuto il coraggio di questi volontari:
“Da sempre, la società umana è stata scossa e terrorizzata da scontri violenti motivati da differenze culturali etniche o nazionali. A queste si sono aggiunti altri criteri, tra cui le differenze religiose e razziali. I conflitti inter-nazionali e inter-etnici hanno raggiunto una nuova intensità nell’era degli Stati nazionali, che rimangono tuttora la principale forma di organizzazione politica. Con la loro nascita, la questione di quale nazione abbia il diritto legittimo di governare un determinato Stato ha iniziato a essere sollevata con estrema urgenza. Quale terra ‘appartiene di diritto’ a quale gruppo nazionale? Il risultato è stato l’incommensurabile sofferenza di milioni di persone innocenti: assimilazione forzata, deportazioni di massa e, infine, brutali atti di omicidio di massa. Eppure, dopo tutto questo, i conflitti nazionali continuano a divampare in tutto il mondo. Quasi nessun’altra contraddizione immaginaria nella storia dell’umanità ha avuto conseguenze così terribili come i conflitti etnici. I conflitti nazionali sono spesso basati sugli interessi delle élite politiche ed economiche nazionali e delle burocrazie statali, oltre che sui pregiudizi più ignoranti e sulle idee distorte nei confronti dei propri vicini – gli altri, i rappresentanti di altri gruppi nazionali. Alla base dell’idea di conflitto nazionale c’è la domanda: ‘Noi o loro?’. L’anarchismo offre un’alternativa: ‘Noi e loro, insieme e alla pari’. Rifiutando lo Stato-nazione, che non è altro che uno strumento di oppressione e ingiustizia, gli anarchici aprono la strada alla confederazione: la cooperazione paritaria dei popoli in tutti i territori. La stessa terra può essere serba e albanese, armena e azera… l’elenco è infinito. L’uguaglianza e l’autogoverno, i pilastri sociali dell’anarchismo, sono le condizioni indispensabili per un dialogo fruttuoso e reciprocamente vantaggioso tra le culture. La necessità di questo dialogo non è diminuita, anzi si è intensificata nel XXI secolo”.
Crediamo che il sacrificio di questi compagni non sia stato vano e che il modo migliore per ricordarli sarà continuare a lottare per ottenere una società libera basata sull’uguaglianza e sulla solidarietà. Un nuovo internazionalismo è necessario affinché questo possa realizzarsi. È fondamentale che le compagne e i compagni che a prezzo della loro stessa vita si battono per questi ideali abbiano tutto il nostro appoggio morale e materiale.
Fonti e materiali:
https://pramen.io/en/2023/04/in-memory-of-the-anarchist-dmitriy-leshy-petrov