Lo “sciopero dei bevitori” di fine Ottocento in provincia di Pesaro e Urbino
Di Luigi
Da Rivista Malamente n. 31, dic. 2023 (QUI IL PDF)
[con la collaborazione di Federico Sora che ha gentilmente messo a disposizione la documentazione d’archivio]
«Viva la rivoluzione sociale!»
Nel 1842 l’aumento di un centesimo sul prezzo del faro – bevanda popolare di Bruxelles e dintorni prodotta aggiungendo zucchero candito bruno al tradizionale lambic (birra acida) – provoca una mezza insurrezione conclusa felicemente con il ritiro del provvedimento e grandi festeggiamenti cittadini.[i] Scene simili si verificano sulla Grand Place della capitale belga negli anni successivi.[ii] Nel 1844 il re Ludovico I di Baviera è costretto dopo quattro giorni di rivolte ad annullare la nuova tassazione sulla birra che aveva sciaguratamente disposto.[iii] Nel 1855 l’amministrazione di Chicago tenta di sestuplicare il costo delle licenze di vendita alcolici e di imporre la chiusura delle taverne la domenica; la misura è rivolta soprattutto contro gli immigrati tedeschi e irlandesi, abituati a trascorrere i giorni festivi bevendo in compagnia. La popolazione dei quartieri ignora provocatoriamente il divieto e un gran numero di bevitori viene arrestato in flagranza di reato. Il giorno del processo, orde di manifestanti arrabbiati irrompono nel centro cittadino e si scontrano con la polizia: il consiglio comunale, messo alle strette, è costretto a tornare sui suoi passi.[iv] Di nuovo in Germania, nel 1872-1873, la gente scende in strada contro il rincaro della birra: le manifestazioni di protesta vengono brutalmente represse dalle forze dell’ordine, nella sola Francoforte sul Meno si contano diciotto morti e numerosi feriti.[v]
In quello stesso periodo, nel 1873-1874, l’Italia viene colpita da una grave crisi economica: forte rincaro dei prezzi e svalutazione monetaria sono i mezzi attraverso i quali le classi dominanti, negli ultimi anni di governo della Destra Storica (governi Lanza e Minghetti), fanno pagare alle masse popolari il risanamento delle finanze statali. Ma, com’è noto, a tirar troppo la corda prima o poi si spezza. Nella miseria generalizzata di gran parte della popolazione che non può permettersi null’altro che sopravvivere e lottare, l’aumento del prezzo dei viveri e dei beni di prima necessità è la scintilla che dà luogo a una serie di agitazioni, scioperi e disordini popolari in moltissime città. Anche a Fano, nelle Marche, la popolazione scende in strada inferocita per il pane sempre più caro, ma anche per il vino venduto dagli osti a prezzi esorbitanti e per giunta cattivo.
I moti spontanei che attraversano il Paese incrociano sulla propria strada i primi concreti tentativi di organizzazione della rivoluzione sociale da parte dell’Associazione internazionale dei lavoratori. Il congresso costitutivo delle sezioni italiane si era tenuto l’estate precedente a Rimini al grido di «Viva la rivoluzione sociale!» e aveva rappresentato l’atto fondativo del movimento anarchico organizzato in Italia. Sono gli anni in cui Bakunin, Cafiero, Costa, un giovanissimo Malatesta e tutti gli affiliati all’Internazionale tessono fitte trame insurrezionali, iniziano a mettere insieme armi, denari e consensi convinti che sia giunta l’ora di abbandonare «la propaganda pacifica delle idee rivoluzionarie», per dar corso alla «propaganda clamorosa, solenne della insurrezione e delle barricate».[vi]
In realtà le sollevazioni popolari sono dettate più dall’esasperazione che da un piano preordinato. Le autorità ritenevano che i movimenti locali erano provocati dalle macchinazioni dell’Internazionale, in realtà, come scrive lo storico Max Nettlau, «disgraziatamente non era così, perché non si seppe allora approfittare di tutte le opportunità che si offrivano».[vii] L’occasione è però da non perdere e la rabbia popolare appare il segnale che la situazione è matura per trasformare i disordini occasionali in insurrezione generale contro lo Stato: «non più, adunque, parole – scrivono gli internazionalisti in un loro appello del 1874 – e mano all’opera: ciò che faceste qua e là in vari borghi bisogna farlo tutti; ciò che incominciaste bisogna finirlo».[viii] Purtroppo la storia prese poi un’altra piega…
Il vino e l’osteria
Fano è tra le prime località marchigiane (e italiane) in cui si sviluppa, nel febbraio 1872, un nucleo organizzato del movimento operaio. Nel febbraio successivo la sezione viene sciolta in seguito all’arresto del suo principale promotore, Pompeo Masini, ma nuove leve guidate da Nazzareno Broccoli non tardano a farla risorgere. I tumulti scoppiati in città a giugno-luglio 1873 e poi di nuovo ad agosto 1874 sono una prima, buona occasione, per coniugare propaganda e azione. Le proteste scoppiate a Fano hanno però una curiosa particolarità: il loro protagonista è infatti il vino. Stanchi di pagare sempre di più per bere intrugli di qualità scadente, i bevitori si organizzano e abbassano collettivamente i gomiti. È lo “sciopero dei bevitori”, un’astensione dal consumo nelle osterie per ottenere, con la lotta, vino dignitoso a prezzi onesti.
La rivendicazione è serissima. Il vino non è solo un consumo voluttuario, ma nei fiaschi dei poveri diventa anche alimento apportatore di calorie e zuccheri, medicinale corroborante, tonico che infonde energie per poter sopportare le fatiche imposte dal lavoro. Le statistiche informano che dal 1884 al 1898 il consumo medio di vino in Italia è di circa 91 litri annui per abitante, per arrivare a 127 litri nel 1901. L’Italia, almeno su questo aspetto, è tra i primi posti in Europa, dopo Spagna, Francia e Portogallo, ma è ultima in classifica per quanto riguarda consumo di birra e liquori. A fine Ottocento la birra è infatti su scala nazionale quasi sconosciuta, ferma a 0,56 litri (neanche un paio di medie) pro capite all’anno.[ix] Oggi, per curiosità e raffronto storico, il consumo pro capite di vino è di poco più di 35 litri all’anno, incalzato da 31 litri di birra.
Il luogo principe del consumo di vino è l’osteria, con i tavoli di legno segnati da lunghe frequentazioni, le sedie impagliate, i bicchieri piccoli e di vetro spesso; nelle Marche del 1884 si conta un pubblico esercizio ogni 180 residenti. Tra Otto e Novecento le osterie sono anche uno dei luoghi del socialismo, lì gli uomini non vanno solo per scordare i propri guai, ma per incontrarsi, discutere, parlare di politica, organizzarsi. La prima sezione dell’Internazionale nasce proprio in un’osteria, a Ed Campett di Imola. Le osterie prendono il nome, o più comunemente il soprannome, del proprietario, sono diffuse nei quartieri, ognuna con la propria clientela popolare. I ricchi frequentano invece i caffè del centro dove si concedono il bicchiere di vino o di acquavite, ma non si ubriacano: i borghesi le vere bevute, con le loro conseguenze, le fanno lontano dalla pubblica piazza, in casa o nei club cittadini a loro riservati.
Nel Municipio di Fano, nella prima registrazione ufficiale delle osterie del gennaio 1864, si trovano elencati 17 locali, con indicata l’ubicazione e i nomi dei titolari e dei proprietari dell’edificio[x]. Qui come in tutte le Marche i litri scorrono abbondanti, tanto che la regione è tra le prime cinque a più alta incidenza di alcolismo, con una mortalità di 2,3 persone ogni centomila abitanti nel 1895-1901.
Chi usa e abusa di alcol è principalmente la popolazione urbana, di grandi e piccoli centri. Operai e braccianti «vivono tra una sbornia e un digiuno»[xi], mentre nei poderi di campagna i mezzadri si premurano di non bestemmiare per non infastidire il padrone e si accontentano di vinello o acetello, poco più che acqua sporca, se non intrugli vari di acqua, miele, acido tartarico e raspi d’uva. È infatti soprattutto con la cultura industriale e urbana che osterie, taverne, bettole si moltiplicano e diventano centri di aggregazione sociale nonché grandi fagocitatrici di già miseri salari, alla faccia delle prediche di tutta una narrativa che esalta le virtù della morigeratezza tanto care alle esigenze del sistema di produzione. Secondo la battaglia antialcolista condotta dalle classi borghesi, lo sfruttato dovrebbe infatti anche essere docile e operoso, alieno dai vizi che potrebbero far precipitare il sottile equilibrio della sopravvivenza, tra i quali l’abbruttimento dell’alcool, secondo solo all’ozio. La logica conseguenza è che i salari devono necessariamente rimanere bassi perché qualunque aumento finirebbe nelle tasche degli osti, anzi, c’è persino chi propone l’abolizione del riposo festivo a tutto vantaggio della salute degli operai che, notoriamente, trascorrono la domenica con il gomito alzato: per i padroni è l’alcolismo la causa della miseria, non viceversa.[xii]
Ma anche tra gli stessi socialisti, soprattutto quando il movimento operaio diventa abbastanza organizzato da aprire propri luoghi di ritrovo e socializzazione come circoli e case del popolo, le osterie cominciano a non essere viste troppo di buon occhio. Talvolta sconfinando in un moralistico elogio della sobrietà, non mancano voci che mettono in guardia contro i pericoli del vino: «l’alcol ritarda la rivoluzione», sentenziava il giornale torinese “Il Grido del popolo” nel 1897.[xiii] E pure gli anarchici fanesi (più tardi) non mancano di condannare l’ubriachezza, unitamente alla perniciosa dedizione al gioco delle carte o delle bocce. Tali abitudini indebolirebbero infatti lo spirito di abnegazione alla causa: «finché il proletariato sciupa il tempo giocando ed affoga la coscienza nel vino, il nemico ride e beve alla salute della imbecillità degli operai. Bisogna leggere, studiare, discutere, lottare o bollenti vuota-bicchieri, se volete cessare di essere schiavi. Il gioco vi abbruttisce e vi divide, lo studio, la discussione vi educa, vi unisce. Studiate».[xiv]
Lo sciopero dei bevitori del 1873
Sui muri del corso centrale di Fano, nella seconda metà di giugno 1873, cominciano ad apparire numerosi cartelli manoscritti che invitano con frasi e slogan assai fantasiosi allo “sciopero dei bevitori”.[xv] Il vino, dicono tutti, costa troppo. Il prezzo medio in Italia nel periodo 1871-1880 è di 65 centesimi al litro, ma la cifra non è molto indicativa in quanto il prezzo aveva ampie oscillazioni in base alla zona e alla qualità. Nella provincia marchigiana si era soliti pagarlo in osteria intorno ai 30 centesimi al litro fino a che, seguendo l’impennata generale del caro-viveri, era arrivato anche a 50-60 centesimi. Prezzo esagerato, reso ancora più intollerabile dalla disdicevole qualità. I bevitori reclamano i prezzi a cui erano abituati, ovvero non più di 12 o 16 soldi il doppio litro (il soldo indica comunemente la moneta da cinque centesimi) e che il vino «sia buono» – scrivono sui loro cartelli – non forte e «corinato» come quello rifilato dagli osti: «siamo stufi tutti brutti birbanti la volete capire si o no». «Lo vogliamo a 12 e sia buono. E guai a chi lo va a bere se è cattivo».
Che gli osti fossero dei bottegai birbanti non è un’accusa infondata, tanto che loro stessi lo riconoscono candidamente, come il rivenditore interrogato al processo in qualità di testimone che ammette di aver cercato di approfittare dell’occasione in cui «correvano per la città delle voci per uno sciopero dei bevitori» tirando fuori dalla sua cantina – «per liberarmene» – il vinaccio «di pessima qualità» da vendere a prezzo ribassato a 40 centesimi. Un altro oste, per non essere da meno, mette a 35 centesimi del vinaccio talmente tristo da diventare nero e imbevibile «un quarto d’ora dopo che era spillato».
Carabinieri e guardie hanno un bel da fare per staccare i manifesti affissi nottetempo, accompagnati dai fischi e dalle invettive – lamenta il Procuratore del Re – «da parte di molti del basso popolo». Un giorno hanno perfino la sorpresa di trovarne uno tutto dedicato a loro, in più copie, con un anonimo e caldo invito a lasciare la città:
«Altolà Sig. maresciallo e il Sig. Biagio Giando, ambe due che siete contro il pane e il vino.
Noi poveri vi damo tempo giorni tre di partire da Fano vivo,
dopo sarai ricompensato da noi, pensa bene queste parole».
Cartelli di protesta e minaccia appaiono anche a Pesaro:
«Pesaro 17 giugno 1873
Signori
Ancora non volete calare questo vino, non basta che siete inricchiti col sangue dei poveri citadini, volete inricchirvi col vino.
Brutti vigliacchi che siete, ma verà un giorno ancora per voi.
Canaglia vile
Poi in fine siete tutti
Pusilanimi».
E, ancora, la promessa di «bastonate a chi si sorprende al osteria a bere». Un altro manifestino anonimo propone di allargare la lotta su altri fronti, a partire dalle filandaie, per le quali si chiede una giornata lavorativa non superiore alle dodici ore, in modo che si possano svegliare alle cinque del mattino invece che alle tre di notte: «signori filatori, volete filare? Volete le donne? Pagateli il suo avere e il suo diritto».
Non mancano, infine, le lettere anonime indirizzate direttamente agli osti profittatori Ricci e Spinacci, «bagarini da vino» che piuttosto di venderlo a 16 soldi minacciavano di svuotare le botti nelle chiaviche: «e ora di dirla vigliacco: non ai faccia di venderlo al pubblico, che lo vendi di nascosto […]. Chiudi l’osteria e sigilla le botti», altrimenti «beveremo del tuo sangue invece del vino». Ma lo sciopero, come ogni sciopero, ha purtroppo i suoi crumiri. A uno di questi che «ad onta del divieto» tentava di uscire furtivamente da una rivendita, una bastonata ben assestata infrange il fiasco che teneva sottobraccio.[xvi]
L’agitazione da Fano e Pesaro si diffonde in giro per la provincia. Altri cartelli anonimi contenenti minacce contro chi acquista vino a caro prezzo vengono sequestrati dai carabinieri di Fossombrone:
«Cittadini! […]
Dunque finché non è ora adoperare il pugnale adoperiamo questo contegno; più nessuno vada a bere il vino al osteria, ma l’acqua alla fontana, finché non l’avranno messo a un prezzo limitato, e chi mancherà potrà incontrare inciampi».
E ancora: «Compagni cittadini non beviamo più il vino sino a che gli usurai non lo mettono a 10».[xvii] Altre notizie di proteste giungono da Cagli, Orciano, Fratterosa, Mondolfo.[xviii]
Come si è detto, lo sciopero e i moti popolari cadono nei primi anni di sviluppo del movimento dei lavoratori. Diversi dei processati con l’accusa di attentato contro la libertà del commercio, ma anche per minacce e oltraggio a pubblico ufficiale, sono infatti nomi noti tra gli internazionalisti locali che, evidentemente, non si sono lasciati sfuggire l’occasione di prendere parte e sollecitare le proteste di piazza, sperando in cuor loro che dalla scintilla della rabbia per i prezzi troppi elevati sarebbe potuto scaturire un affondo più insidioso per le sorti della società. È il caso di Alessandro Nicoletti, segretario responsabile della sezione dell’Internazionale di Pergola, che scrive ad Andrea Costa il 6 luglio 1873:
«qui pure abbiamo avuto lo sciopero di bevitori, dimostranze circa alla piccolezza del pane e al caro prezzo dei polli ecc. ecc. Gli effetti sono stati questi: il vino da cent. 50 il litro è sceso a 40. Il pane è stato fabbricato per conto di una Commissione nominata dal popolo della quale facevano parte io ed un altro nostro fratello, ma è resultato che per farlo più grosso bisogna rimetterci, come ci abbiamo rimesso noi. I polli, uova, ecc. poi, oggi che è stato giorno di mercato, s’ingiungeva ai contadini di venderli a 75 centesimi al chilo vivi i polli, e le uova a cent. 35 la diecina; ma i villani non hanno voluto vendere ed in conseguenza non si è ottenuto niente: vedremo in un altro mercato. Anche di queste dimostrazioni noi desideriamo istruzioni sul modo di contenerci, giacché ci pare che noi altri ci occupiamo nell’applicazione di questi effimeri rimedi su la malata odierna società, mentre non studiamo il modo di disfare questa stessa società».[xix]
Non sappiamo quanto lo sciopero dei bevitori sia stato compatto e duraturo, fatto sta che, come scrivono i locali giornali d’ordine, «se cessò la vergogna dei cartelli anonimi e l’astinenza dal vino, sopraggiunsero manifestazioni più indecorose».[xx] Il riferimento è ai disordini per il caro viveri scoppiati a Fano il 1° luglio 1873 quando, alla notizia dell’imminente esportazione di 150 some di grano vendute dal possidente locale Remigio Tombari a compratori di Pesaro, una piccola folla si era riversata in strada attraversando la città al grido «vogliamo il pane e la polenta!» bloccando i carri carichi di grano presso Porta Maggiore e costringendo i carrettieri a rientrare in magazzino.
Il trasporto viene tentato pochi giorni dopo, l’8 luglio. A fronteggiare la folla, ancora più determinata della settimana precedente, sono presenti oltre un centinaio di unità tra carabinieri, guardie e truppa di fanteria della caserma di Fano, con reparti a cavallo e rinforzi richiamati persino da Urbino e Senigallia. Il capitano dei carabinieri sguaina la spada per disperdere i dimostranti ma, circondato, ha la peggio tanto che cade da cavallo ed è costretto a rifugiarsi in caserma.[xxi] Nel frattempo il delegato di polizia si presenta al magazzino per avviare il trasporto dei cereali, ma anche i facchini solidarizzano con i dimostranti e incrociano le braccia. C’è bisogno dell’esercito che con mezzi militari e altre vetture requisite a forza riesce con non poche difficoltà a condurre il grano verso la stazione ferroviaria, accompagnato dalle ingiurie della folla e da una fitta sassaiola che ferisce alcuni soldati.
I manifestanti si spostano quindi sotto le sotto le finestre del sindaco Gabriel Angelo Gabrielli, in via Montevecchio. A nulla valgono i suoi tentativi di mediazione, respinti da una popolazione ben consapevole che il primo cittadino avrebbe fatto, come sempre, gli interessi dei ricchi e dei padroni. Nei giorni seguenti scattano arresti e denunce che però, in un’epoca senza telecamere a ogni angolo di strada, si risolveranno in un «non luogo a procedere» per insufficienza di prove. D’altra parte i funzionari di polizia, nello stilare i loro rapporti, non mostrano dubbi che il socialista anarchico Nazzareno Broccoli sia tra i principali sobillatori, insieme ad altri «soggetti pericolosi contro le persone e appartenenti a questa sezione dell’Internazionale». Una simile lettura dei legami tra l’organizzazione sovversiva e i moti popolari la danno i giornali: «tutti gli onesti di qualsiasi classe cittadina riconosceranno che le dolorose agitazioni avvenute erano mosse da segrete intelligenze diffuse nelle Marche per opera di individui anonimi che pescano nel torbido».[xxii] Vista l’aria che tira, gli esponenti repubblicani, pavidi e opportunisti, si affrettano a prendere le distanze dagli autori dei cartelli anonimi e dagli organizzatori delle manifestazioni, con un pubblico manifesto di dissociazione.[xxiii]
La seconda ondata
Analogamente a quanto accaduto nell’estate 1873, tensioni sociali, protesta contro il caro-viveri e annesso sciopero hanno una replica una decina di anni dopo. Iniziano i bevitori di Pesaro nell’estate 1884, in maniera a dire il vero non troppo convinta, con qualche scaramuccia tra gli scioperanti pronti a inalberare una frasca nella fontana della piazza in segno di sciopero e le guardie decise a impedire il gesto, poi, con maggior determinazione tra ottobre e novembre 1885, sono ancora una volta i fanesi ad astenersi dal vino.[xxiv] La proclamazione dello sciopero avviene durante un comizio di lavoratori, con l’approvazione per acclamazione dell’ordine del giorno presentato da un anarchico:
«Il popolo di Fano convocato a Comizio generale 19 ottobre
considerando
che il vino venduto nelle osterie e nelle cantine è assolutamente artefatto; che il berlo è contro l’igiene in ispecial modo per gli operai, costretti a lavorare tutto il giorno per guadagnarsi un tozzo di pane; che è cosa ingiusta e sleale addirittura pretendere quel prezzo esorbitante (centesimi 40) per un tale pestifero miscuglio; che tutto ciò in fine avviene per opera dei così detti bagarini, farabutti e trafficanti grossi e piccoli, tutta gente ingorda che non desisterà dall’immorale monopolio, se non combattuta dal lato economico,
delibera
di astenersi assolutamente dal bere vino, fino a che i prezzi non siano più ragionevoli e la qualità migliori».
Il giornale libertario “In Marcia!…” segue lo sviluppo dell’agitazione e il 23-24 ottobre pubblica un supplemento di due pagine interamente dedicato a supportare la lotta:
«il bicchiere di vino è necessario quanto il tozzo di pane per chi da mattina a sera si slomba sotto fatiche immani; per chi non à né gli estratti, né i brodi nutrienti da sopperire alla perdita diuturna delle forze muscolari e intellettuali; per chi infine è dannato a trovare nel moderato uso del bere il solo conforto di mitigare le sue afflizioni e la miseria… Non è dunque in virtù di pretesi ed immaginari sobillatori che noi ci disponiamo alla resistenza malgrado tutte le privazioni che essa ci impone; sibbene perché alla fine oltre al diritto di non morire di fame abbiamo anche quello di soddisfare tutti i bisogni della vita umana»[xxv].
Secondo i compagni internazionalisti mantovani, che si erano associati alla protesta fanese con un telegramma di solidarietà e avevano auspicato che altre città ne seguissero l’esempio, la lotta ha buone prospettive di successo quanto la fama dei vini marchigiani non è delle migliori: «siccome a Fano, così come in altri luoghi delle Marche, ci sono molte partite di vino non esportabili per la qualità, così gli osti dovranno finire col cedere».[xxvi]
Ma restare sobri e coerenti alle intenzioni non è impresa facile per tutti, nonostante la posta in palio sia riuscire a bere bene risparmiando, come traspare da un altro articolo di “In Marcia!…”: «ci spiace però di dover notare come fra tanta unanimità di intenti, alcuni di coloro che dapprima parevano più caldi si siano tralasciati trasportare dalla voglia di un bicchiere di vino! Che diamine!».[xxvii] La protesta si estende anche a Fossombrone ma non riesce a coinvolgere i lavoratori della città di Pesaro e dopo circa un mese si avvia alla conclusione senza aver ottenuto risultati significativi, a parte alcuni controlli messi in opera dal Municipio per determinare il grado alcolico dei vini in vendita[xxviii].
Ma non finisce qui. La sfida agli osti accaparratori e disonesti viene rilanciata ancora una volta nel 1887 – immaginiamo tra mugugni e scrollate di testa di qualcuno tra i meno decisi – con le rivendite invitate a chiudere e altri manifestini anonimi affissi sui muri di Fano:
«Compagni operai!
Il vino unico nostro sollievo dopo le tante aspre fatiche da noi sopportate è salito ad un prezzo altissimo e minaccia di salire ancora se noi operai non vi porremo riparo.
Sì noi operai dobbiamo porci riparo unendoci tutti e facendo lo SCIOPERO. Lo sciopero sarà l’unica nostra protesta contro l’attuale dispotismo dei nostri signori ed aguzzini.
Amici facciamo lo sciopero tutti uniti e compatti e coll’unione sapremo far la rivoluzione a suo tempo. Compagni, chi vi chiama allo sciopero non vuole che il vostro, il nostro bene, vuole che sappiamo dimostrare ai nostri vampiri di saper combattere contro la loro malvagia [sic].
Amici ascoltateci e tutti uniti e compatti facciamo lo sciopero.
I vostri amici»[xxix].
Bibliografia
Effren Magrini, L’alcoolismo in Italia: studio statistico, Roma, Coop. Poligrafica, 1904.
Friedrich Engels, I tumulti della birra in Baviera, in Karl Marx, Friedrich Engels, Opere, v. 3: 1843-1844, Roma, Editori Riuniti, 1976, p. 562.
Proletari in osteria, “Movimento operaio e socialista”, a. 8, n. 1, gen.-apr. 1985.
Pierpaolo Casarin, L’osteria “luogo di libertà”; Sergio Vaghi, Il pub di Justus Schwab; Pierpaolo Casarin, Vedi alla voce “alcolismo”, “Bollettino. Archivio Pinelli”, n. 20, dic. 2002, p. 27-38.
Andrea Dilemmi, L’ebbrezza della rivoluzione: osterie/sovversivi e controllo poliziesco a Verona, 1876-1942, “Aparte”, n. 9, 2003.
Club Bazzani, Osti, ostesse e osterie a Fano, Fano, Fiacconi, 2007.
Federico Sora, Nascita e sviluppo del movimento sindacale e dei lavoratori a Fano: cronistoria e specificità, in Lavoro, diritti, memoria. La Camera del lavoro della provincia di Pesaro e Urbino dalle origini ai primi anni ’70, a cura di Andrea Bianchini, Pesaro, Metauro, 2007, p. 71-110.
Sandro Moiso, Old England, http://www.carmillaonline.com/2011/08/17/old-england.
Federico Sora, Schede biografiche di internazionalisti fanesi: Espartero Luigi Bellabarba e Nazzareno Broccoli, “Nuovi studi fanesi”, n. 26, 2012, p. 77-123.
Note
[i] Cfr. Lorenzo Dabove “Kuaska”, La birra non esiste. La vita, le storie, i segreti di Kuaska, Milano, Altreconomia, 2015, p. 120.
[ii] Cfr. Gita Deneckere, Sire, Het Volk Mort. Sociaal Protest in België, 1831-1918, Antwerpen, Hadewijch, 1997.
[iii] Cfr. Friedrich Engels, I tumulti della birra in Baviera, in Karl Marx, F. Engels, Opere complete, vol. 3: 1843-1844, Roma, Editori Riuniti, 1976, p. 562.
[iv] Cfr. Robin Einhorn, Lager Beer Riot, in The encyclopedia of Chicago, a cura di James R. Grossman, Ann Durkin Keating, Janice L. Reiff, Chicago [etc.], University of Chicago press, 2004.
[v] Cfr. Michel Grüttner, Osterie e consumo di alcoolici nella vita quotidiana della classe operaia in Germania (1871-1933), in Proletari in osteria, “Movimento operaio e socialista”, a. 8, n. 1, gen.-apr. 1985, p. 103-126.
[vi] Primo appello del Comitato italiano per la rivoluzione sociale, redatto da Andrea Costa, gennaio 1874, cit. in Pier Carlo Masini, Storia degli anarchici italiani da Bakunin a Malatesta, Milano, Rizzoli, 1969, p. 85.
[vii] Max Nettlau, Errico Malatesta, Pescara, Samizdat, 1996, p. 115 (ristampa dell’ed.: New York, Il martello, 1922).
[viii] Terzo appello del Comitato italiano per la rivoluzione sociale, agosto 1874, cit. in. P. C. Masini, Storia degli anarchici italiani da Bakunin a Malatesta, cit., p. 87.
[ix] I dati sono tratti da Effren Magrini, L’alcoolismo in Italia: studio statistico, Roma, Coop. Poligrafica, 1904; dati simili in Renato Monteleone, Socialisti o “ciucialiter”? Il PSI e il destino delle osterie tra socialità e alcoolismo, in Proletari in osteria, cit., p. 6.
[x] Cfr. Club Bazzani, Osti, ostesse e osterie a Fano, Fano, Fiacconi, 2007.
[xi] Tiziano Merlin, Il ruolo sociale e politico dell’osteria nel Veneto meridionale, in Proletari in osteria, cit., p. 26
[xii] Cfr. R. Monteleone, Socialisti o “ciucialiter”?, p. 9.
[xiii] Ivi, p. 14.
[xiv] Frustate, “La Frusta”, a. 2, n. 9, 15 apr. 1920.
[xv] Cfr. Cose locali, “L’Annunziatore”, 29 giu. 1873 e numeri seguenti. Su tutta la vicenda dello “sciopero dei bevitori” si veda Federico Sora, Schede biografiche di internazionalisti fanesi: Espartero Luigi Bellabarba e Nazzareno Broccoli, “Nuovi studi fanesi”, n. 26, 2012, p. 77-123.
[xvi] Archivio di Stato di Pesaro (ASP), Tribunale penale, Atti penali 1873, b. 475, proc. n. 335 contro Francesco Trebbi et al.
[xvii] ASP, Sezione di Urbino, Tribunale penale, Atti penali 1873, b. 329, proc. n. 361 contro ignoti.
[xviii] Su Mondolfo: ASP, Tribunale penale, Atti penali 1874, b. 464, proc. n. 349; su Fratterosa: ivi, b. 442, proc. n. 15 e 363; su Orciano: ivi, b. 443, proc. n. 688 e b. 446, proc. n. 361.
[xix] Ermanno Torrico, Caro Andrea Costa,… Alla periferia del socialismo rivoluzionario: lettere dalle Marche, 1873-1909, Urbino, Argalia, 1983, p. 112-113. Si veda anche ASP, Tribunale penale, Atti penali 1874, b. 446, proc. n. 205 contro Ciro Norreri et al.
[xx] Cose locali, “L’Annunziatore”, 6 lug. 1873.
[xxi] Cfr. Corrispondenze della provincia, “Il Popolano”, 13 lug. 1873. Per la cronaca della manifestazione riportata sul giornale, il gerente responsabile viene denunciato per diffamazione a mezzo stampa del corpo dei Regi carabinieri, cfr. ASP, Tribunale penale, Atti penali 1873, b. 433, proc. n. 393 contro Apollinaire Serafini.
[xxii] Cose locali, “L’Annunziatore”, 13 lug. 1873.
[xxiii] Il manifesto dei repubblicani si trova in ASP, Tribunale penale, Atti penali 1873, b. 434, proc. n. 353.
[xxiv] Cfr.: Lo sciopero dei bevitori, “L’Adriatico”, 16 lug. 1884; Da capo lo sciopero dei bevitori, ivi, 30 lug. 1884; Serpentello, Da Fano, “Corriere metaurense”, 1 nov. 1885; Sciopero, “L’Annunziatore”, 25 ott. 1885.
[xxv] “In Marcia!…”, suppl. al n. 6, 23-24 ott. 1885.
[xxvi] Cfr.: Spigolature: una città astemia, “La Federazione operaia”, Mantova, 25 ott. 1885 e Il popolo fanese, ivi, 29 ott. 1885. Si veda anche Lo sciopero dei bevitori di vino, “Il Messaggero”, 25 ott. 1885.
[xxvii] “In Marcia!…”, 1 nov. 1885.
[xxviii] Si vedano le notizie nella rubrica Per Fano di “In Marcia!…”, 4 ott. 1885; 25 ott. 1885; 8 nov. 1885; 15 nov. 1885; 29 nov. 1885.
[xxix] ASP, Tribunale penale, Atti penali 1887, b. 239, proc. n. 558 contro Pietro Mori et al.