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Anche noi stiamo con i falciatori e le falciatrici di OGM

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Di Luigi

Immagini tratte dal libro Faucheurs volontaires, Les Dessin’Acteurs, 2010

Mezzana Bigli è un piccolo paese nelle campagne della Lomellina, in provincia di Pavia, recentemente diventato il centro della mobilitazione contro i cosiddetti “nuovi OGM”. Qui, in una porzione di terreno di pochi metri quadrati, l’Università degli Studi di Milano ha messo a coltura la prima sperimentazione italiana di queste nuove tecniche di ingegneria genetica: una varietà di riso – che i simpaticissimi e brillanti ricercatori hanno chiamato RIS8imo – studiato per ottenere piante più resistenti alle malattie e agli effetti del cambiamento climatico, riducendo l’uso di pesticidi e razionalizzando l’impiego di acqua.

Non entreremo nel dettaglio della critica agli OGM; per approfondire rimandiamo, tra gli altri, all’intervento del collettivo Terra e libertà che abbiamo pubblicato sul n. 33 di Malamente e che smonta punto per punto la retorica green dei tecnologi, mostrando come i “nuovi OGM”, oltre che potenzialmente pericolosi per la salute e l’ecosistema, sono portatori della stessa idea di mondo dei “vecchi OGM”, un mondo che condanna definitivamente l’agricoltura contadina a soccombere di fronte alle monocolture industriali e dove il vivente – che ormai non nasce più, ma viene prodotto – diventa una merce tra le altre, manipolabile e brevettabile.

Fatto sta che dopo l’annullamento di una manifestazione unitaria promossa dalla Conferenza contadina Cambiare il campo! – stendiamo un velo pietoso sulle diatribe che hanno portato a cancellare l’evento – nella notte del 21 giugno 2024 alcuni ignoti sabotatori hanno raggiunto l’appezzamento di RIS8imo a Mezzana Bigli, hanno manomesso le telecamere di sorveglianza, divelto la rete metallica di protezione e proceduto allo sradicamento delle piantine. Successivamente, il 6 luglio, un piccolo ma significativo presidio si è svolto nella piazza del paese, convocato dal gruppo Resistenze al nanomondo.

Lo sfalcio notturno è stato un gesto allo stesso tempo simbolico e concreto: ha effettivamente rallentato i tempi della sperimentazione costringendo i ricercatori a salvare il salvabile e a riprogrammare il tutto, ma ha anche rimesso sul tavolo l’opzione dell’azione diretta. Nell’epoca dell’indignazione online, gli ignoti autori ci hanno ricordato che oltre ai polpastrelli abbiamo anche il resto del corpo.

Il coro di condanne non si è fatto attendere, da parte dei tecnofili di ogni schieramento: un «gesto criminale», «segno di profonda ignoranza», «rigurgito di violenza oscurantista e antiscientifica», operato da «dementi luddisti», anzi, «ecoterroristi». Una bellamente ignorante indifferenza è invece arrivata da certi movimenti sociali, ancora una volta incapaci di cogliere l’attacco delle tecnoscienze al vivente. Per alcuni sinistri ecologisti gli OGM non sarebbero sbagliati in sé. Anzi, la moltitudine dovrebbe sottrarli al dominio delle multinazionali, farli propri e orientarli al bene comune. Insomma, ecologisti sì, ma al passo con i tempi. Non lo vedono proprio il cortocircuito che si innesca quando per salvare il mondo dal cambiamento climatico si è disposti ad adottare le soluzioni proposte da quello stesso sistema tecnico che ha portato il mondo sull’orlo del collasso.

Fortunatamente, altre prese di posizione, come quella di Giovanni Pandolfini, lasciano intravedere uno spiraglio di possibilità: «Falciare questa sperimentazione legale ma illegittima è un atto di speranza».[1]

Non lasciamo che il ricatto tecnico ci chiuda nell’angolo costringendoci a balbettare richieste di maggior controllo, etichettatura, tracciabilità. Piuttosto, manteniamo alto il livello della critica, ognuno con i mezzi che sente più congeniali, dalla penna alla falce, senza screditarsi a vicenda, sapendo che sarà difficile, se non impossibile, in queste condizioni, fermare la corsa degli OGM. E infatti, sfalciato un campo, altre due colture sperimentali sono in arrivo: una vite e un pomodoro, di cui ancora non si hanno molte informazioni di dettaglio. Per uscirne, andrebbe rimesso tutto in discussione – il sistema tecnico, l’idea di progresso, la neutralità della tecnoscienza – come avverte René Riesel, figura che ritroveremo anche più avanti: «Bisogna affermare che non ci sarà “uscita dagli OGM” né da nessuna delle tecniche biocide proposte senza che venga sentita la necessità di uscire dal bisogno di asservimento alle offerte della tecnica e dell’industria e alle promesse scientiste di un progresso ininterrotto. È la sola uscita che si può prendere in considerazione. Essa presuppone di uscire da questa società».

Le origini

Senza pretese di completezza, proviamo ora a ripercorrere alcuni passaggi della lotta sul campo agli OGM, con particolare attenzione all’esempio che arriva dalla Francia, pur con tutte le sue contraddizioni, anche per dimostrare che lo sfalcio di Mezzana Bigli non viene dal nulla ma si colloca all’interno di una ormai lunga tradizione d’azione.

Alla metà degli anni Novanta, diverse associazioni ambientaliste iniziano a denunciare il rischio di “inquinamento genetico” che le piante OGM potrebbero causare a tutte le altre coltivazioni e reclamano trasparenza in materia di etichettatura dei prodotti geneticamente modificati. Nel novembre 1997, il governo Jospin concede l’autorizzazione all’immissione in commercio di mais transgenico da parte dell’azienda svizzera Novartis; due mesi dopo, attivisti della Confédération paysanne (sindacato agricolo francese) rendono inutilizzabile un silo di mais transgenico a Nérec. Seguono poi altri attacchi, culminati con l’incursione all’interno delle serre del Centro di ricerca CIRAD a Montpellier e la distruzione di alcune migliaia di piante di riso transgenico: un’azione diretta condotta nel contesto della “Carovana intercontinentale”, insieme a numerosi contadini del sud dell’India.

Questi gesti vengono rivendicati dalla Confédération paysanne, che utilizza i successivi processi (in particolare quello contro José Bové, René Riesel e Dominique Soullier) per aprire una tribuna di visibilità politica e condannare la legittimità delle piante transgeniche, non solo dal punto di vista dei pericoli per la salute e l’ambiente, ma anche come arma della globalizzazione neoliberista contro l’agricoltura contadina.

Nel febbraio 2001 Riesel – pur con una posizione minoritaria all’interno della Confédération paysanne, dalla quale uscirà – rivendica in aula il “delitto” compiuto, allargando l’orizzonte della posta in gioco: «è proprio all’insieme dei presupposti della ricerca scientifica moderna, privata come pubblica, a tutto l’arsenale tecnologico di controllo e di condizionamento che essa mette al servizio dell’industrializzazione della vita, fino all’artificializzazione integrale, che ho l’impudenza di oppormi. […] Non è sulla parte che ho avuto – volentieri – nel calpestamento di qualche plantula in vasetto che bisognerebbe giudicarmi, ma su una concezione del mondo e della vita completamente antagonistica a quella del CIRAD o di ogni altro organismo di ricerca analogo».[2]

L’azione contro il CIRAD era particolarmente significativa perché veniva preso di mira un istituto di ricerca pubblico (e non una multinazionale del settore), e veniva distrutta una sperimentazione confinata in serra (non in campo aperto, con i relativi pericoli di disseminazione incontrollata). All’interno del fronte anti-OGM si affacciano però le prime prese di distanza da una radicalità d’azione che non se la prendeva solo con le derive della transgenesi e che chiudeva le porte a possibili strategie di dialogo costruttivo con le istituzioni.

Numerosi altri “sfalci” avvengono negli anni successivi, alcuni sotto i riflettori dei media, altri clandestinamente (rivendicati da gruppi come i Ricercatori della notte, i Nemici della transgenesi e del suo mondo, gli Overdosati ampiamente malcontenti e diverse altre fantasiose sigle), sconfessati dalla Confédération paysanne.

Faucheuses et Faucheurs Volontaires

Nel 2003, si fa strada una nuova strategia, ovvero la creazione di un movimento di Faucheurs volontaires (Falciatori volontari), lanciato durante il grande meeting antiglobalizzazione di Larzac da Jean-Baptiste Libouban, attivista non violento, membro della Comunità dell’Arca di Lanza Del Vasto. La sua idea era di fare in modo che la protesta contro gli OGM attraverso lo sfalcio non si limitasse alla sola categoria degli agricoltori, sostenuti dai loro sindacati o associazioni di riferimento, ma diventasse un impegno personalmente assunto da tutti i cittadini, cioè da quell’entità astratta che è la “società civile”. La battaglia contro gli OGM doveva superare il contorno degli addetti all’agricoltura per farsi espressione di una “volontà generale”.

«Quando una persona si innamora – racconta Libouban – è perché non può fare diversamente. E con suo grande piacere. Quando ho preso coscienza della disseminazione degli OGM in campo aperto – questa produzione contro natura a profitto delle aziende produttrici di sementi – ho avuto un colpo di fulmine… ma quello dell’indignazione! Un colpo di fulmine non vi lascia indenne. Vi trapassa il cuore, la testa e il corpo. Accende un fuoco, inatteso e irresistibile, che vi mette in moto. Ecco perché, in un bel giorno assolato dell’agosto 2003 al meeting di Lazarc, mi sono ritrovato a cercare un posto dove aprire il mio Ufficio di reclutamento dei Faucheurs volontaires[3]

Al neonato movimento aderiscono centinaia e poi migliaia di persone, di diversa età e provenienza politica, attivisti di lungo corso e persone al loro primo impegno di “disobbedienza civile”, perfino amministratori locali in prima linea con la fascia tricolore a tracolla. Le intenzioni sono molto chiare: invadere collettivamente e pubblicamente gli appezzamenti di terreno con coltivazioni OGM e distruggere le piante a viso scoperto. Il tutto all’insegna della non violenza. Sono scoraggiate le azioni individuali, esterne al contesto collettivo, ed è assolutamente vietato arrecare danni su altre cose che non siano le piante OGM. Anche se ce li immaginiamo armati di falci, agiscono a mani nude.

I Faucheurs volontaires non sono un’entità formalmente costituita come possiamo pensare a un’associazione o a un comitato, ma i suoi “nodi” locali si creano nel momento dell’azione collettiva per sciogliersi subito dopo; a fianco dell’azione diretta portano avanti petizioni pubbliche, iniziative di informazione e sensibilizzazione, interventi giuridici.

La loro attitudine è evidentemente di tipo riformista: puntano a una migliore legislazione che impedisca le colture OGM e salvaguardi così l’interesse generale, chiedono un dibattito pubblico, aperto e democratico, che venga rispettato il principio di precauzione, che si valutino i possibili effetti nocivi a lungo termine, che sia impedita la brevettazione del vivente a fini commerciali. Non criticano l’attacco che la tecnoscienza porta ai limiti biologici costitutivi del mondo naturale, ma solo le sue fughe in avanti non preventivamente discusse e approvate dai cittadini.

Chi ha intenzione di diventare falciatore o falciatrice volontario/a deve sottoscrivere la seguente carta di intenti:

Qui, come altrove, la disseminazione e le importazioni di OGM sono inaccettabili.

I loro effetti sull’ambiente e sulla salute sono incontrollati e incontrollabili.

Piante tolleranti agli insetticidi o agli erbicidi, o a entrambi, sono strumenti dell’agricoltura industriale intensiva.

Attraverso i brevetti e i certificati di selezione delle piante, la morsa delle aziende sementiere, biotecnologiche e agrochimiche sta seriamente minando il diritto degli agricoltori di moltiplicare i propri semi e di proteggerli. […]

Quando i governi e le leggi permettono o organizzano il profitto di pochi contro tutti e contro il bene comune, in barba al principio di precauzione sancito dalla Costituzione, dovremmo tacere e lasciare che accada?

Dopo che i cittadini e le cittadine hanno usato i mezzi legali per allertare l’opinione pubblica e i governi su questi pericoli, cosa resta loro per fare il proprio dovere?

In questa situazione, perché la democrazia rimanga reale, tutto ciò che hanno a disposizione è lo “stato di necessità” sancito dall’articolo 122-7 del Codice penale, che permette loro di disobbedire alla legge in nome di valori superiori votati al bene comune e che legittimano le loro azioni.

I Faucheuses et Faucheurs Volontaires si impegnano a neutralizzare questi OGM.

Agiscono a viso scoperto, nelle forme della disobbedienza civile non violenta.

I Faucheuses et Faucheurs Volontaires autorganizzano le azioni che rivendicano. Si assumono personalmente la responsabilità per le conseguenze civili e penali dei loro gesti, nel contesto dell’azione collettiva. Forme di solidarietà attiva sono messe in campo per fornire sostegno morale e finanziario alle persone che si trovano sottoposte alla repressione.

Avendo preso coscienza delle possibili conseguenze penali e civili di un atto di neutralizzazione degli OGM, e accettando le modalità della non violenza in base alle quali, tra l’altro, ci si presenta in azione senza oggetti da taglio, firmo l’impegno dei Faucheurs volontaires.

Le azioni messe a segno sono state decine e decine, ai quattro angoli del paese, in alcuni casi con momenti di tensione tra faucheurs, proprietari delle colture commerciali e forze di polizia che in più occasioni sono ricorse a lacrimogeni, granate stordenti e manganelli (15 feriti, ad esempio, a Valdivienne nel 2004). Il rischio di essere identificati, fermati e condannati è molto concreto e, in un certo senso, consapevolmente ricercato: quando, dopo gli sfalci dell’estate 2004, il procuratore di Tolosa rinvia a giudizio 9 persone, si presentano in 400 per autodenunciarsi. Non ripercorriamo qui la sequenza delle azioni e dei processi dove, in genere, gli avvocati invocano lo “stato di necessità”, una giustificazione in termini penali simile alla legittima difesa, per cui non è punibile chi commette un fatto perché costretto dalla necessità di salvare se stesso o altri dal pericolo di un grave danno. E le colture OGM in campo aperto, con i loro rischi imprevedibili, sono effettivamente un grave pericolo per l’ambiente e la salute collettiva. Ogni processo è una storia a sé, ma si è visto che la tendenza generale dei giudici tiene insieme la pronuncia di colpevolezza per gli imputati con una certa reticenza ad affibbiare pene significative.

Il movimento è riuscito a ottenere il favore o per lo meno le simpatie di larghe fette dell’opinione pubblica. E non è poco, di questi tempi, soprattutto a guardarla dal nostro paese, dove una sinistra sempre più biecamente progressista ha orrore anche solo a sentir parlare di azioni dirette.

Il fenomeno dello sfalcio, va detto, negli ultimi decenni non si è limitato alla sola Francia. Negli Stati Uniti e altrove è iniziato anche prima; in Germania il gruppo Gendreck weg! ha lanciato una serie di azioni simili, riuscendo però a mobilitare solo nuclei ristretti di attivisti e scontrandosi con una più dura repressione. In Italia, a cavallo tra anni Novanta e Duemila, si è per lo più agito col favore della notte in campi sperimentali universitari, con azioni di cui si può ritrovare traccia nelle cronache locali. Resta il fatto che il movimento francese dei Fauchers volontaires non ha eguali per la sua caparbietà e capacità di mobilitazione.

Voci dal campo, di falciatori e falciatrici

«2003, l’anno in cui sono diventato maggiorenne. Da due anni mi interessavo al mondo vegetale. Quando è stato lanciato il movimento, a Lazarc, ero già cosciente che ci trovavamo in uno stato di necessità. Cosa fare, se non agire contro questa disseminazione incontrollabile, invisibile, subdola? Era come se mi tagliassero l’erba sotto i piedi. Unica soluzione: agire. Mi rendo allora conto della mia piccolezza, che fa la mia forza, ma anche e soprattutto la mia debolezza. Ci si sente impotenti di fronte a questi giganti, noi che siamo dalla parte della vita e del bene comune.» (Bastien)

«Dopo molte esitazioni e riflessioni, ho fatto il passo. Non pensavo che mi avrebbe portato così rapidamente al confronto con le forze dell’ordine, ai fermi, perquisizioni e processi. Ma è in quei momenti che ci si rende conto della forza del gruppo, del sostegno della popolazione. E mi sono detto che stavo facendo la cosa giusta.» (Lucien)

«Non lo faccio necessariamente con allegria. Mi stringe lo stomaco distruggere un raccolto. Come contadino, non è una cosa facile. Ho visto i campi dopo il nostro passaggio. Mi ha fatto lo stesso effetto di quando mandrie di cinghiali attraversano i miei terreni proprio prima del raccolto. È una cosa che mi mette i brividi.» (Francis)

«Trovo che ci sia una grande sincerità nel gruppo di persone con cui ho falciato. A dire il vero, abbiamo tutti delle vite molto differenti. C’è gente di tutte le età. Ma c’è qualcosa che ci accomuna. Credo che sia una forma di coscienza, e di sincerità.» (Dany)

«Il mio mestiere è l’agricoltura, e voglio difendere un modo di nutrire uomini, donne, bambini, qui e altrove, in maniera più corretta e solidale di quanto non si faccia oggi. […] Quando ho scoperto cos’erano gli OGM ho sentito che c’era qualcosa che non andava e che bisognava passare all’azione per denunciarlo, per impedirne lo sviluppo. Si è riflettuto anche su altre soluzioni. Tra il 1997 e il 2003 abbiamo cercato di informare i nostri colleghi agricoltori, fornendo loro della documentazione, discutendoci. Ma abbiamo trovato un muro: le indiscutibili parole delle aziende, delle filiere, delle cooperative che dicevano che questo era l’avvenire… il grande blablabla dell’industrializzazione dell’agricoltura. Questo lavoro di informazione ci è apparso largamente insufficiente. Prendere la decisione di andare dai nostri colleghi, dai nostri vicini, e di falciare… non è stato facile. Ma l’abbiamo fatto serenamente, in piena coscienza, per suonare un campanello d’allarme.» (Chantal)

«Credo che la non violenza non sia un metodo di lotta naturale per l’essere umano. È difficile essere non violenti. Ma mi rendo anche conto che l’azione non violenta può arrivare ad avere un impatto maggiore rispetto ad altri metodi che nel passato non hanno dimostrato la loro efficacia. In ogni caso, a me l’azione collettiva ha permesso di vedere e di capire cos’è la non violenza. […] Mettere in pratica la non violenza in situazioni difficili penso che sia una buona scuola. Aiuta a ragionare. A non lasciarsi travolgere dalle pulsioni, da sentimenti che talvolta, senza riflettere, possono travalicarci.» (Olivier)

«Più di 40 ore in stato di fermo e un avviso di comparizione immediata ma nonostante questo, con un largo sorriso, le prime parole di Guy all’uscita del tribunale sono state una cosa del genere: “Quel che più conta è che quella coltivazione non esista più”. Questo ti dà il coraggio per tornare a falciare appena possibile.» (Arnaud)

«Le falciature notturne sono un po’ pericolose perché manca l’aspetto rivendicativo e il “mi assumo la mia responsabilità”. L’ho detto ai miei compagni… Trovo sia un peccato che nella nostra provincia le falciature siano state solo notturne. Mi hanno risposto che per loro era un grosso disagio consegnarsi mani e piedi alla giustizia. La loro opinione di fondo è che non credono si possa cambiare la legge all’interno di questa società. È la loro opinione, e la rispetto come rispetto il loro coraggio e la loro onestà […] Bisogna anche dire che in questa provincia nessun campo sperimentale è mai durato più di un anno. Questo è significativo.» (Alain)


[1] Giovanni Pandolfini, Io sto con le falciatrici, 7 luglio 2024, <comune.info>.

[2] René Riesel, Piena confessione dei veri moventi del delitto commesso al CIRAD, in Id., Sulla zattera della medusa. Il conflitto sugli OGM in Francia, Torino, Quattrocentoquindici, 2004, p. 113-114.

[3] Faucheurs volontaires, [S.l.], Les dessin’acteurs, 2010, p. 19.

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