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Viva la maestra

Di Mario Di Vito

Da Rivista Malamente n. 32, mar. 2024 (QUI IL PDF)

Tribunale di Budapest, 29 gennaio 2024, Ilaria Salis a processo. Fotografia di Mario Di Vito.

La paura è la risposta a quasi tutte le domande che possono venire quando si arriva a Budapest e si cercano tracce degli antifascisti. La paura di un paese che agli antifascisti fa più o meno esplicitamente la guerra, che li mette in galera e non li fa uscire, che li considera terroristi e come tali li rivende a giornali e televisioni. La prima udienza del processo a Ilaria Salis, lunedì 29 gennaio 2024, ha visto la totale assenza in aula di antifascisti ungheresi. C’erano degli italiani, qualche tedesco, ma niente ungheresi. Perché? Per paura. Legittima. Dicono che in certe occasioni è pieno così di poliziotti in borghese (è vero) che stanno lì per fotografarli e schedarli. E non è raro che poi quelle foto finiscano in un modo o nell’altro nelle mani sbagliate, cioè in quelle dei neonazisti, che in Ungheria abbondano e non sono solo un mero dato folkoristico come in altri paesi. Basta leggere le cronache, parlare con gli antifascisti, o anche solo scambiare qualche impressione con chi si professa democratico e continua a credere che uno stato di diritto, nonostante tutto, sia un orizzonte possibile persino qui nel paese di Orban.

Mentre scrivo sta cominciando la settimana che porta al Giorno dell’onore, cioè l’appuntamento annuale in cui centinaia di nostalgici hitleriani da mezza Europa arrivano a Budapest per celebrare “gli eroi” delle SS che combatterono contro l’Armata rossa durante la seconda guerra mondiale. Si è parlato tanto delle azioni per le quali Ilaria Salis (e non solo lei) è sotto processo. Si è detto molto anche degli Antifa, soprattutto di quelli tedeschi, trattati alla stregua della banda Baader Meinhof, un pericolo pubblico per la Germania e per l’Europa intera. Poi, se si va a vedere i fatti contestati, si scopre che parliamo di risse e bombe carta. Ecco, la cosa francamente assurda è tutta qui, nella sproporzione macroscopica tra fatti contestati e pene richieste. Così qualche sospetto di accanimento è ampiamente giustificato. Tanto più a guardare i fatti: l’anno scorso, durante il periodo del Giorno dell’onore, oltre alle azioni degli antifascisti, ci sono stati anche attacchi dei neonazisti. Che però non hanno passato tanti guai: gli arrestati sono stati scarcerati in pochi giorni, la stampa ha avuto informazioni col contagocce. L’esatto contrario di quello che è accaduto agli antifascisti: sbattuti in prigione per mesi e i loro video e le loro foto sono stati elargiti all’opinione pubblica senza risparmiarsi.

Poi c’è il resto. L’immagine di Ilaria Salis in catene ha fatto il giro del mondo, ma lei nelle sue lettere lo diceva già da mesi che la stavano trattando così. Si dirà che il potere della parola è sempre inferiore a quello dei video e delle fotografie. Forse è vero, e di certo aver visto la scena di una donna di 40 anni che entra in un’aula di tribunale con le manette ai polsi, gli schiavettoni ai piedi e una cintura alla vita legata a una catena è un fatto che non si può ignorare. E che infatti ha scandalizzato in molti. E chi non c’era si è perso il dettaglio sonoro: le catene fanno rumore quando si trascinano per terra, di fatto l’ingresso di Ilaria Salis in aula è stato preceduto dal lamento della ferraglia che si muove. Basta così? Certo che no: tutti i detenuti ungheresi ricevono lo stesso trattamento di Ilaria Salis e questo la dice lunga sul paese. Tutti i sistemi carcerari sono orribili alla stessa maniera, ma alcuni sono più orribili di altri.

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