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Appello per l’organizzazione di una seconda linea cristiana-rivoluzionaria in vista delle prossime manifestazioni

da lundi.am

Nelle ultime settimane, il coraggio e la creatività delle proteste francesi hanno generato nel pubblico italiano un misto di vergogna e incredulità. Ma come, noi ci siamo fatti fregare e mazziare per anni senza dire niente e questi fanno il diavolo a quattro per molto meno?

Inutile insistere sulla corruzione dei nostri sindacati confederali, sulla viltà di chi ancora usa lo spauracchio di Genova 2001 per giustificare la sua passività rispetto alla violenza della polizia o su fantasmagoriche ricostruzioni storiche o antropologiche sulla diversità dei francesi rispetto al presunto carattere subalterno dei popoli mediterranei.

“Chi parla male, pensa male, vive male”, diceva bene uno che di vivere male nello stagno della sinistra italiana se ne intende.

Allora è meglio ascoltare direttamente le parole, nate da una pratica arricchita da un dibattito politico e culturale sincero, che sorgono dal fuoco delle lotte.

E provare a imparare qualcosa perché ne abbiamo estremo bisogno.

Dopo l’annuncio del ricorso all’articolo 49.3 – che ha permesso l’approvazione della riforma delle pensioni senza il voto parlamentare – la mobilitazione contro tale riforma si è riaccesa. Scioperi, blocchi, manifestazioni diurne e marce notturne si moltiplicano e si rafforzano. Con una preoccupante fuga in avanti, il governo di Emmanuel Macron ha scelto di intensificare la sua brutalità. Nelle strade le squadre di polizia sono in agguato, intimidiscono, colpiscono, arrestano e feriscono. Ogni giorno i social network diffondono nuove spaventose immagini di abiezione da parte della polizia, e qualcuno si ostina ancora a incolpare le solite “mele marce”. In realtà, il governo lascia al movimento solo due opzioni. La prima, quella che il potere desidera, consiste nel tornare tutti a casa, più o meno terrorizzati ma sicuramente sconfitti. La seconda opzione sta nel rendere più articolata l’azione di piazza, mettendo in campo nuovi metodi e strategie per evitare la violenza e approfondire la solidarietà. Questo testo propone alcune strade in questo senso.

Questioni

Dopo aver fatto una coraggiosa apparizione in diverse città il 7 marzo, prima di eclissarsi parzialmente l’11 e il 15 dello stesso mese, il Cortège de tête [testa del corteo in cui, dal 2016, hanno iniziato a ritrovarsi militanti radicali decisi ad alzare la conflittualità e rispondere alla repressione, insieme ad altre, eterogenee, componenti][1] ha fatto irruzione nelle grandi città il 23 marzo, alimentato, arricchito e rinfocolato da una settimana di continue manifestazioni selvagge, in particolare a Parigi, dove la prospettiva di andare fuori dal percorso stabilito ha galvanizzato i manifestanti. La giornata di giovedì 23 marzo ha smentito la contrapposizione tra modalità selvaggia e modalità de tête, ponendo l’articolazione strategica delle due forme come sfida per la settimana successiva.

L’obiettivo di questo articolo non è quello di passare in rassegna tutte le implicazioni della giornata del 23 – altri probabilmente lo faranno meglio – ma di avanzare una proposta per contribuire all’articolazione di queste due modalità.

La proposta è di organizzare una seconda linea strategica, a vocazione prevalentemente difensiva, nel contesto delle manifestazioni di massa, quando il percorso è ancora bloccato dalla polizia e bisogna farla arretrare. Questa proposta mira a generalizzare (e radicalizzare) pratiche e intuizioni in realtà già presenti e si considera complementare al corteo festoso e al lavoro dei medici di strada. Nel caso in cui uno scenario come quello del 23 marzo si ripeta (non è detto, dipenderà anche dai percorsi, soprattutto a Parigi), l’obiettivo è quello di creare le condizioni nella prima fase della manifestazione (in testa al corteo) affinché la seconda fase (quella selvaggia) possa effettivamente svolgersi, e nel miglior modo possibile.

Si cerca quindi di dare risposta a dei problemi senza i quali, in certe città, la giornata del 23 marzo sarebbe stata ancora migliore di quanto non fu:

  • Alcune persone, letteralmente nauseate dalle trappole e dai gas di fine manifestazione, sono tornate a casa e non hanno partecipato al resto della festa. Sebbene la settimana di manifestazioni selvagge avesse iniziato a diffondere le buone pratiche da utilizzare in queste situazioni, c’era chi non era ancora minimamente equipaggiato.
  • Nonostante l’incredibile solidarietà dei cortei, a volte si sono fatalmente creati dei vuoti tra la testa che dava battaglia e il resto del corteo, a causa delle cariche e dell’eccesso di gas. Essendo questi spazi vuoti particolarmente pericolosi, la necessità di riempirli rapidamente e in modo solidale è di vitale importanza.
  • Alcune controffensive che avrebbero potuto avere luogo non sempre si sono verificate, perché il blocco di testa, talvolta messo a dura prova, non sempre si è sentito sufficientemente rilanciato, soccorso e spinto dalla folla.
  • La minaccia di fulminei furti degli striscioni incombe sempre sui cortei e sarebbe un peccato se una mancanza di accortezza rovinasse una manifestazione.
  • Quando gli scontri sono particolarmente intensi, le persone coinvolte non possono sempre vedere ciò che accade intorno a loro. La circolazione delle informazioni dall’inizio alla fine del corteo è necessaria e anche il centro del corteo deve essere attivo e prendere decisioni.
  • A Parigi in particolare, come ormai tutti sanno, il principale ostacolo per i manifestanti è l’indecente presenza del BRAV-M [Brigades de répression des actions violentes motorisées; forze di polizia che si muovono in coppia, su motociclette]. Oltre a seminare paura, il suo scopo tattico è essenzialmente quello di impedire che la dispersione del corteo, alla fine del percorso, si trasformi in una moltitudine di passeggiate selvagge e gioiose. Potrebbe anche, sotto la pressione dei più radicali sostenitori del mantenimento dell’ordine, ricevere l’invito ad attaccare fin da subito la formazione di un Cortège de Tête e a effettuare arresti, come avvento il Primo Maggio e il 5 dicembre 2019. La neutralizzazione del BRAV-M lungo tutto il percorso, ma più in particolare all’inizio e alla fine del corteo, è quindi una questione decisiva per le prossime manifestazioni parigine. L’attesa di un eventuale scioglimento del BRAV è un orizzonte troppo lontano per risolvere questo problema, di cui devono invece occuparsi, ora, gli stessi manifestanti (soprattutto se immaginiamo che un’eventuale decisione di scioglimento verrebbe presa dopo violenze ancora più efferate da parte del BRAV-M, che è proprio quello che vogliamo evitare). Vedremo quale ruolo potrebbe avere la nostra seconda linea in questo contesto.

Questa seconda linea può quindi iniziare a organizzarsi in vista dei seguenti obiettivi:

  • Distribuzione ancora più massiccia di mascherine (FFP2) e di soluzione fisiologica, prima e all’inizio della manifestazione. Principio di carità. Trasmettere informazioni ad alta voce quando il gas avvolge la folla: respirare con calma attraverso la bocca, tapparsi il naso, non strofinarsi gli occhi, dare o chiedere cure senza indugio.
  • Riempire i vuoti: durante la carica/gassazione tenendo, da dietro, la spalla della persona che precede. Non correre. Proteggere la testa da oggetti volanti e manganellate con l’altro braccio. Poi, non appena la situazione si ribalta, girarsi il più rapidamente possibile, avanzare di nuovo, alzare le mani e spingere indietro la polizia. Ritrovare la gioia il più rapidamente possibile, senza lasciare che si insinui il dubbio. Intrappolare la polizia se ha commesso l’errore di avanzare troppo e farla sgattaiolare via a testa bassa.
  • Sapere fare blocco, ma anche facilitare il disimpegno verso il lato o il retro di persone ferite o che non sopportano più il gas. Aprire passaggi e corridoi ai medici di strada.
  • Se il blocco di testa ha bisogno di tempo per ricostituirsi, va occupato lo spazio centrale della strada per il tempo necessario: non precipitatevi ai lati, cosa che lascerebbe un viale aperto per le cariche successive. Organizzare striscioni e bandiere di riserva [che permettono al gruppo di ritrovarsi dopo aver subito un attacco, NdT] in caso di furto da parte della polizia.
  • Creare delle barricate (organizzarsi a catena per muovere il materiale) e proteggersi con l’arredo urbano se è il momento di trincerarsi.
  • Guadagnare altezza e prospettiva e trasmettere informazioni a voce alta (o, se è il caso, più discretamente).
  • Dopo una carica cercare di portare aiuto insieme ai medici, oppure cercare di prevenire gli arresti se il numero di persone di soccorso è ritenuto sufficiente (il fatto di non essersi esposti con comportamenti penalmente rilevanti durante la manifestazione può rendere più sicuri nell’andare “al fronte” in questi momenti particolarmente delicati, anche se sarà sempre necessaria una buona dose di coraggio).
  • Alla fine del primo tempo (cioè al termine del percorso dichiarato, se la manifestazione ha raggiunto il punto d’arrivo, come a Parigi o a Lione il 23 marzo), analizzare la situazione, osservare lo stato generale (morale e fisico) dei manifestanti e dei poliziotti, per prendere le decisioni migliori.
  • Per quanto riguarda il BRAV-M o qualsiasi altra unità ultra-aggressiva, sarà respinto in maniera duratura solo se ogni sua apparizione verrà sanzionata in modo massiccio. La sua sconfitta deve essere il risultato di un’ispirazione collettiva e unanime. Se la nostra seconda linea riuscirà a formarsi al momento giusto, a circondare il BRAV-M e a respingerlo sotto i fischi, lo neutralizzeremo senza permettere alla sua violenza di prendere piede, screditandolo definitivamente. Il segno di una tale manovra potrebbe essere che la folla alzi le braccia e gridi «tutti odiano il BRAV-M!» o, più semplicemente: “sparite!”, “andatevene!”. La composizione variegata della linea pacifica attiva è una delle chiavi del successo di questa manovra: vi sono caldamente invitati i manifestanti relativamente anziani disgustati dalla repressione, i pompieri, i sindacalisti che hanno scelto di andare oltre la loro funzione, ecc.

Principi

Nel luglio 1942, durante la Seconda guerra mondiale, Simone Weil presentò al governo della Francia libera il Progetto di una formazione di infermiere di prima linea:

«Le SS costituiscono un’espressione perfetta dell’ispirazione hitleriana. Al fronte, se si deve credere ad alcuni rapporti apparentemente imparziali, essi posseggono l’eroismo della brutalità; e lo spingono fino all’estremo limito possibile del coraggio. Noi non possiamo mostrare al mondo di valere più dei nostri nemici superando il loro grado di coraggio, perché non è possibile in termini di quantità. Ma possiamo e dobbiamo mostrare di possedere una qualità di coraggio differente, più difficile e più rara. Il loro è di una specie brutale e bassa; emana dalla volontà di potenza e di distruzione. Poiché i nostri scopi sono differenti dai loro, così il nostro coraggio procede da una diversa ispirazione. Nessun simbolo può spiegare meglio la nostra ispirazione che la formazione femminile qui proposta. Il semplice persistere di un compito umanitario nel centro stesso della battaglia, nel punto culminante della brutalità, sarebbe una sfida impressionante a quella ferocia che il nemico ha scelto e che ci impone a nostra volta. […] U­n coraggio che non è riscaldato dalla volontà di uccidere, che nell’istante di maggior pericolo sostiene lo spettacolo prolungato delle ferite e delle agonie, è certamente di una qualità più rara di quello del giovane fanatico delle SS»[2].

La tesi di Simone Weil è che non tutte le forme di coraggio e di violenza sono uguali. In contrasto con le forme brutali della polizia, dobbiamo trovare le nostre forme ispirate, riflessive, brillanti. Vedere qualche poliziotto cadere colpito da qualcosa è piacevole e allevia ferite a volte profonde. Tuttavia, a lungo termine, è chiaro che questa forma di violenza si ritorcerà contro di noi, poiché la polizia cercherà con ogni mezzo (e sta già cercando) di vendicarsi. La vera vittoria sull’apparato di polizia sarebbe l’assunzione collettiva delle decisioni e del livello di violenza, il che – stando alla definizione di Weber del monopolio della violenza legittima – minerebbe veramente lo Stato e il suo fondamento. Perché questo accada, bisogna che la folla arrivi a considerare i poliziotti come se fossero manifestanti. Se tirano fuori lacrimogeni, granate e manganelli, costituiscono una minaccia ed è quindi necessario usare i mezzi appropriati per cacciarli, ma se si spaventano e fuggono da soli, non ha senso linciarli, visto che la loro umiliazione non verrà compensata dalla soddisfazione di aver reagito e di essersi difesi. In alcune città il 23 marzo (cucù Nantes), la polizia si è spaventata, è stata circondata e si è nascosta.

È dunque quest’altra forma di violenza e di coraggio che deve animare la seconda linea. Una forma così profonda e riflessiva che sa limitarsi o, quando è necessario, alimentare l’esplosione. I suoi membri sanno fare un passo indietro, prendere fiato, affinare lo sguardo, mantenere composti il sangue freddo prima di orientare il proprio movimento e quello degli altri, perché sanno che la folla è un polmone che inspira ed espira.

Questa linea non deve essere necessariamente identificabile, ma deve esistere nella pratica. Partecipa anche agli aspetti festosi e offensivi del corteo, ma sa formarsi, tenere il proprio posto e il proprio ruolo al momento giusto (ovvero nei momenti più critici).

Questa linea è cristiana, non nel senso che accetta i colpi come un martire, ma perché sa che bisogna saper incassare i colpi per poterli restituire. Forse a volte non se la sentirà di lanciare i suoi sassi e di colpire, ma sa che non abbandonerà mai la sua gente.

I suoi principi sono quindi la carità, la solidità e la pazienza. È la croce o la quercia su cui la rivolta deve mettere radici.

https://lundi.am/Appel-pour-l-organisation-d-une-seconde-ligne-chretienne-revolutionnaire-en-vue


[1] Sulla genesi del Cortège de tête si veda: La vera storia del Cortège de tête, https://www.infoaut.org/approfondimenti/la-vera-storia-del-cortege-de-tete. [NdT]

[2] Simone Weil, Progetto di una formazione di infermiere di prima linea, “Diario”, 4(6), 1988, p. 21-30.

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