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G7: rituali e maschere sul palcoscenico della provincia italiana

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Di Vittorio Sergi

Da Rivista Malamente n. 34, ott. 2024

Ogni società ha i suoi rituali politici. La nostra non fa eccezione. Nel 1975 attorno a un grande tavolo fiorito, in una sala regale del castello di Rambouillet in Francia, sotto le luci dei riflettori e l’obiettivo delle telecamere ancora analogiche, si riunirono i capi di stato e di governo di sei paesi. Erano le prime nazioni industrializzate del mondo, tutte potenze coloniali e sorprendentemente ne faceva parte anche l’Italia. L’idea pare sia stata dei presidenti di Francia e Germania, per provare a mettere una pezza su una delle più importanti crisi del capitalismo occidentale dopo il boom degli anni Cinquanta e Sessanta: austerità economica, crisi petrolifera, giovani che non ne vogliono più sapere di lavorare. Se vogliamo vederla dalla parte dei capitalisti possiamo parlare di ristrutturazione o rivoluzione neo-liberale: si era infatti negli anni in cui la prospettiva di innovazione socialista di Allende in Cile era stata sconfitta con argomentazioni di piombo e in Europa la lunga ondata di rivolta giovanile del Sessantotto stava combattendo anche con le armi in pugno ma si avviava sulla sua parabola discendente.

Il rituale, dunque, funziona così: i grandi capi del vapore si siedono e discutono con la faccia seria e usano le parole giuste. Poi tutte queste iniziative si concludono immancabilmente con cene di dubbio gusto, foto di gruppo mediamente ridicole e folclore a uso stampa. Si volta pagina e si continua con la solita politica di potenza. Certo, come tutti i rituali, anche se non si fa niente di concreto si porta a casa qualcosa che in politica è molto prezioso: il prestigio. I summit ospitati dal nostro paese sono stati quello del 2001 a Genova, del 2008 a L’Aquila e del 2017 a Taormina.

A partire dalla fine del XX secolo a questo rituale se ne è aggiunto un altro, che all’inizio non era tale e che mise in seria difficoltà lo “spettacolo” del potere organizzato dai signori e la tranquilla gestione dell’ordine pubblico delle loro guardie del corpo. Blocchi stradali, cortei colorati e combattivi, sabotaggi e colpi di mano. Il ciclo di lotte del movimento per la giustizia globale, in Italia venne etichettato dai giornali come “no-global” anche se portava in sé alcuni degli elementi più avanzati dell’innovazione sociale e culturale globale. Nel nostro paese questo ciclo, con la sua serie di pratiche anche rituali di contestazione, è durato all’incirca otto anni, dal vertice Global forum tra UE, Banca mondiale e OCSE di Napoli (2000) alla surreale edizione del summit G8 a L’Aquila (2008), territorio appena terremotato e subito militarizzato per l’occasione.

Negli anni tra il 1994 e il 2014 una serie di lotte definite globali ma sviluppatesi soprattutto nel ricco Nord del mondo, mise in discussione la legittimità delle sceneggiate del G7 (Stati Uniti, Canada, Francia, Germania, Italia, Giappone e Regno Unito) poi diventato G8 con la partecipazione della Russia (interrotta nel 2014 a seguito dell’annessione della Crimea). Non era più tollerabile, in una società di massa e globalizzata, che una élite bianca, anziana e ricca mettesse in scena il tavolo delle grandi decisioni senza alcuna procedura democratica. Sono stati eletti, si diceva per provare a giustificarli, ma l’argomentazione suonava debole perché i signori e le signore seduti ai tavoli dorati si atteggiavano e si comportavano come dei sovrani. Non sono proprio uguali ai monarchi di un tempo, anche se vorrebbero mettere in scena quel tipo antico di “sovranità”. Essi, infatti, governano per conto di altri, potenti e ricchi che non amano condividere i loro rituali politici e oggi preferiscono comprarsi un social network o una criptovaluta.

Non è questo il momento e il posto giusto per ritornare sulle storie dolorose e piene di dignità, coraggio ma anche contraddizioni di quegli anni. Oltre all’assassinio di Carlo Giuliani per mano dei carabinieri il 20 luglio 2001 e alle infami mattanze della scuola Diaz e di Bolzaneto, in quel ciclo di lotte si contarono centinaia di feriti, decine di prigionieri, di cui alcuni ancora in carcere per quelle giornate e migliaia di processi penali. Cosa ha portato a casa il movimento contro i vertici? Dopo venti anni di contestazioni anche feroci qualcosa è cambiato. Un po’ perché almeno le nuvole di lacrimogeni hanno finito di rovinare lo shopping delle first lady o gentleman, un po’ perché l’egemonia occidentale sta declinando: gli incontri del G7 non hanno avuto più lo stesso peso politico in presenza del nuovo circuito del G20 e di altre forme di governance multipolare come i BRICS. La perdita di legittimità di questi rituali del potere non è stata mai recuperata e per diversi anni si sono svolti nella quasi indifferenza generale.

Il governo Meloni però, ancora indeciso tra i ruoli della commedia dei parvenu al potere e il revival delle 100 giornate di Salò ha scelto di dare grande importanza e visibilità al G7. Proprio perché il famoso ciclo dei controvertici per ora si è chiuso, in Italia non abbiamo visto contestazioni paragonabili a quelle del passato e tuttavia una rete di iniziative, proposte di critica, contestazione e azione si è manifestata nei mesi passati contro gli appuntamenti tematici del vertice. In particolare a Torino ad aprile, a Venezia a maggio, a Fasano a giugno, abbiamo visto manifestazioni di centinaia di persone, scontri con la polizia e apertura si spazi di confronto e relazione tra chi propone alternative alla gestione capitalista del pianeta. La richiesta dello stop al genocidio in Palestina è stata una costante specialmente nei confronti di Stati Uniti, Inghilterra, Germania e Italia che sono in questo momento i paesi occidentali principali sostenitori della linea militarista di Israele, anche con finanziamenti e forniture dirette e indirette di armamenti e sistemi di difesa.

La “salute globale” cosa ci fa ad Ancona?

Perché affidare un G7 tematico sulla sanità alle Marche? Le spese sanitarie sono come in tutte le Regioni italiane la prima voce di spesa, nonché il punto di equilibrio e una leva di potere fondamentale. Giorgia Meloni ha sicuramente un rapporto privilegiato con il governatore delle Marche Francesco Acquaroli, i cui meriti politici sono difficili da individuare per l’utente medio del servizio sanitario pubblico, ma sono evidenti in termini di fedeltà politica alla leader di Fratelli d’Italia.

Abbiamo già descritto in numerosi articoli lo stato precario della sanità regionale: la costante spinta bi-partisan verso la privatizzazione, l’aumento delle disuguaglianze, l’assenza di politiche di prevenzione e di risanamento ambientale, l’attacco alla legge 194, alle donne e alle altre soggettività, le pessime condizioni di lavoro del personale sanitario. Non può sfuggire anche il paradosso di un vertice sulla salute a pochi chilometri da uno dei disastri ambientali e sanitari peggiori d’Italia, la raffineria API di Falconara, situata in un’area ad alto rischio sanitario come la bassa valle dell’Esino. Area costellata di fabbriche inquinanti, allevamenti intensivi, un prossimo mega centro logistico di Amazon e un impianto di trattamento di rifiuti pericolosi in via di progettazione.

Vedersi concretizzare in modo sorprendente questo vertice ad Ancona, a ottobre, ha stimolato la nascita di una certa opposizione. La campagna contro il G7 Salute parte anche dalla considerazione che il cambiamento climatico e i suoi impatti rappresentino sul territorio un problema per la salute e la sicurezza. Lo testimoniano eventi come l’alluvione del Misa e del Nevola del 2022 che ha lasciato ben tredici morti in una nottata, o la diffusione delle mucillagini nell’alto e medio mare Adriatico, che dall’inizio di agosto 2024 ha superato stabilmente i 30 gradi di temperatura dell’acqua. Cosa stanno facendo i paesi del G7 per l’uscita delle nostre società dal regime fossile? La risposta la lasciamo alle lettrici e ai lettori.

Salute globale, tagli e malasanità locali

Il G7 Salute ad Ancona annuncia di voler affrontare la fragilità della salute su scala globale proponendo l’appoggio “One Health” patrocinato dall’OMS, quando nella pratica i suoi membri stanno spingendo sempre più forte sulle privatizzazioni e non mollano la presa sui brevetti di farmaci e vaccini. Il concetto di salute globale ha comunque acquisito dalla fine del ciclo dei controvertici sempre più visibilità e rilievo a livello internazionale. In primo luogo, la diffusione delle malattie infettive transfrontaliere suscita un grande interesse da parte dei media e dell’opinione pubblica, così come guida le priorità di ricerca delle facoltà e dei programmi accademici. Allo stesso tempo, la salute globale è diventata un’area fondamentale di azione filantropica.

Nonostante l’importanza acquisita negli ultimi due decenni, il complesso termine collettivo “salute globale” non ha ancora un uso uniforme, ma collegando il locale con il globale si riferisce a un concetto esplicitamente politico. Il concetto di salute globale considera la salute come un bene universale basato sui diritti; tiene conto delle disuguaglianze sociali, delle asimmetrie di potere, della distribuzione ineguale delle risorse e delle sfide di governance. Parlare di salute globale significa teoricamente sostenere e ampliare la visione che ha portato alla creazione dei servizi sanitari pubblici a partire dalla decolonizzazione e dall’espansione del welfare, soprattutto grazie alle lotte delle donne.

Inoltre, il concetto predominante di salute globale riflette ancora oggi l’egemonia ereditata dal Nord globale. Non tiene sufficientemente conto dell’onere globale delle malattie, che sono principalmente caratterizzate da patologie non trasmissibili e dai determinanti sociali della salute che hanno un impatto decisivo sulle condizioni di vita della popolazione. Oltre che sulla resilienza e la preparazione epidemiologica per prevenire le prossime annunciate pandemie, la salute globale dovrebbe nascere dalla volontà di agire, appunto, sui determinanti sociali, economici e politici della salute.

Il riduzionismo biomedico e tecnocratico si è affermato in tempi di crisi sanitaria acuta, ma oggi comporta il rischio di un accesso selettivo all’assistenza sanitaria. Per garantire una salute per tutti e ridurre in modo sostenibile le disuguaglianze sanitarie all’interno dei paesi e tra di essi, sono necessarie politiche coerenti di salute per tutti. La salute globale deve innanzitutto perseguire l’applicazione del diritto universale alla salute e contribuire al superamento delle disuguaglianze globali. Non ci sembra questa la strada intrapresa dalla nostra piccola regione e dal nostro paese in mano agli eredi di Berlusconi e Mussolini.

Dietro le quinte

Nello specifico dell’agenda dell’incontro di Ancona, studiando i documenti ufficiali emergono tre temi fondamentali:

a) Il tema dei vaccini e dell’accesso ai farmaci. Nel G7 sono rappresentati i principali paesi che si oppongono all’eliminazione dei brevetti sui vaccini e sui farmaci. A livello globale la lotta per l’“apertura” dei brevetti sui vaccini e sui farmaci ha rappresentato per decenni una delle rivendicazioni esemplari dello squilibrio Nord/Sud nella globalizzazione neoliberale. Durante il G8 a Genova, nel 2001, l’allora portavoce del Genoa social forum Vittorio Agnoletto, fu una delle figure più mediatizzate e che tutti ricordano, ma al suo fianco c’erano numerosi attivisti e attiviste meno noti del cosiddetto Sud globale, che ponevano la questione della proprietà intellettuale sui brevetti come centrale nella nuova dinamica di sfruttamento capitalista che aveva sostituito il vecchio colonialismo di occupazione.

La pandemia Covid-19 ha esacerbato delle contraddizioni già profonde, portando anche in Occidente il conflitto legato alla vaccinazione. Oggi ricordiamo i dibattiti infuocati sulla validità e l’opportunità o meno delle vaccinazioni e sappiamo che sicuramente attorno alla pandemia sono prosperati gli imprenditori politici della paura e del controllo, ma forse scordiamo troppo facilmente quanto l’iniziale scarsità dei vaccini avesse prodotto fenomeni di accaparramento, corruzione, speculazione. Alcune persone arrivarono a pagare fino a 10.000 euro per vaccinarsi privatamente, altre fecero carte false per ottenere vaccini a cui non avevano (ancora) diritto.

Nelle nostre società abituate a un livello elevato di prestazioni e di consumi in ambito sanitario, abbiamo poca consapevolezza delle tensioni e delle sofferenze provocate dalla mancanza di farmaci, vaccini e cure mediche in situazioni di bisogno e di urgenza. Qual è la proposta a cui lavora il G7? Costruire fabbriche di vaccini private, mantenendo i profitti legati ai brevetti, nei paesi poveri per soddisfare la loro richiesta di vaccini e farmaci facendo ripagare i prestiti finanziari, secondo un’ottica pienamente liberista, alle stesse società che vengono già sfruttate dall’economia neocoloniale.

b)  PPR: Prevention, preparedness, response. A giugno 2024 a Ginevra è stato discusso e approvato un documento avanzato verso la stipulazione di nuove regole globali per la risposta alle pandemie, sotto forma di emendamenti al trattato dell’OMS International Health Regulations del 2005. Le principali innovazioni sono una definizione univoca di emergenza pandemica e dei sistemi di allarme e di risposta condivisi, la creazione di Autorità nazionali preposte alle regolazioni sanitarie e un meccanismo finanziario coordinato per attivare trasferimenti di fondi di emergenza per fare fronte alle difficoltà economiche dei paesi più poveri o in maggiore difficoltà finanziaria. Tutti questi approcci globali e umanitari si scontrano però con le contraddizioni di fondo che vedono i governi del G7 come parte in causa, in quanto difendono gli interessi di alcune delle maggiori case farmaceutiche globali e utilizzano coscientemente il potere medico e sanitario come strumento di pressione geopolitica. Per questo motivo la vecchia ma sempre attuale rivendicazione dell’eliminazione del brevetto dai farmaci salvavita e dai vaccini è fondamentale per ristabilire delle condizioni basilari di equità e di sicurezza sanitaria.

c) Stupefacenti e repressione. L’approccio del G7 nel campo degli stupefacenti è costantemente improntato alla repressione e alla criminalizzazione, nonostante nel mondo stiano costantemente crescendo le evidenze scientifiche della validità della legalizzazione e della depenalizzazione. Nelle Marche abbiamo avuto un tragico assaggio del connubio patologico tra proibizionismo e repressione psichiatrica nel caso del giovane Matteo Concetti, morto suicida nel carcere di Montacuto a gennaio 2024. Del suo caso abbiamo parlato nel numero 32 (marzo 2024) e abbiamo sostenuto la richiesta, ancora attuale, di dimissioni per incompetenza del Garante dei detenuti, Giancarlo Giulianelli. Nelle Marche poi non dobbiamo dimenticare l’ingombrante presenza di uno dei capi politici di Fratelli d’Italia, lo psichiatra Carlo Ciccioli, oggi eurodeputato, che già nel 2012 provò a minare dalle fondamenta la legge Basaglia, senza riuscirci, ma che oggi continua a promuovere una cultura tradizionalista, paternalista e autoritaria applicata alla salute mentale.

Nel carcere e nelle strutture di contenzione psichiatrica il legame problematico e mortifero tra repressione e droghe accelera e si intensifica, ma presenta la stessa grammatica sghemba che troviamo nelle strade. Il consumatore di sostanze viene sfruttato dalla criminalità e diventa bersaglio della polizia che cerca di aumentare la propria produttività penale con una fonte praticamente inesauribile di illegalità. Negli ultimi tempi il movimento antiproibizionista in Italia ha subito numerosi contraccolpi e negli anni è molto arretrato, spesso delegando ad attivisti in cerca di visibilità improbabili campagne mediatiche. Sul terreno oggi sono rimasti operatori e operatrici sanitari di base che difendono i diritti delle persone tossicodipendenti nella pratica quotidiana, con enormi limiti e problemi.

A tutta salute

Gli attivisti e le attiviste marchigiane hanno organizzato una Rete di azione contro il G7 Salute e una campagna Not on my body, lanciata dai Centri sociali delle Marche. Entrambe le iniziative hanno deciso di costruire un’agenda comune aperta ai contributi dalle reti nazionali interessate al tema della salute. L’obiettivo è quello di gettare in faccia ai ministri e al loro staff di esperti le contraddizioni globali che emergono dai bisogni di salute locali.

La città si prepara ad accogliere esperti, attivisti e manifestanti da tutta Italia. Si affronta il “controvertice” con la consapevolezza che alle spalle c’è un’epoca di mobilitazioni che non potrà tornare uguale a sé stessa, e che la situazione attuale a livello di partecipazione è senza dubbio difficile. Si stanno organizzando conferenze di critica e piattaforme di lavoratori e cittadini in difesa della sanità pubblica. Mentre l’amministrazione comunale si affanna a tappare le buche delle strade, l’opposizione al vertice organizza e diffonde le sue proposte. In contemporanea al vertice si svolgerà il Festival a tutta salute uno spazio di incontro, apprendimento e lotta aperto alla partecipazione di singoli e gruppi che ha l’obiettivo di produrre iniziative contro il vertice e creare nuove connessioni.

Le iniziative contro il G7 si sono intrecciate anche con percorsi già avviati creando interessanti convergenze. A partire dall’offensiva del governo Meloni contro i giovani concretizzata nella legislazione “anti-rave” del 2022 abbiamo visto negli ultimi mesi del 2023 la rinascita di un circuito anti-repressivo a livello nazionale, che ha ricominciato a riflettere su concetti fondamentali come la riduzione del danno, la depenalizzazione e la legalizzazione. La prima street parade che si è svolta a giugno 2023 ad Ancona ha provato a comunicare ai partecipanti alcuni preziosi concetti di base: che le sostanze vanno affrontate anzitutto con l’informazione e la consapevolezza, e che la depenalizzazione può stimolare le capacità di autodifesa e autoregolazione della società togliendo spazio agli imprenditori della violenza e della paura, alla criminalità e alla polizia che vivono in una perversa simbiosi. Questo è il senso del collegamento di una street parade annunciata in contemporanea alla fine del vertice del G7, per il 12 ottobre. L’iniziativa vuole raccontare, superando gli stereotipi e la paura imposte dalla narrazione criminalizzante della destra, il desiderio di festa, di liberazione e di legalizzazione contro gli imprenditori e della repressione.

L’appuntamento di ottobre ad Ancona rappresenta quindi una doppia scommessa e opportunità. Da un lato sporcare se non addirittura rompere l’incanto della vetrina del governo regionale a guida Fratelli d’Italia su un tema di grande importanza per tutto il paese come la salute pubblica. Dall’altro fare esercizio di mobilitazione, di relazione, di lotta per mantenere vivi i canali di comunicazione, le capacità, la creatività di vivere la città e i territori come spazi da cui trarre forza e ispirazione per percorsi di cambiamento radicale.

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